domenica 29 aprile 2012

Cosa resterà di questi anni ottanta?

Era il 18 febbraio 2006, quando, in un pomeriggio piovoso, entrai in sala per vedere Notte prima degli esami. Mi piacque e uscii felice dal cinema, senza minimamente sospettare che questo inaspettato successo (costato pochissimo, incassò quasi 13 milioni di euro) avrebbe comportato una drastica e angosciosa piega pseudoculturale: infatti, circa un mese dopo, iniziarono a fioccare inviti a destra e a manca per prendere parte ad iniziative dai titoli equivoci ("80's Party", "Festa revival di carnevale stile anni '80", "80 Voglia Disco-Party", ecc.) organizzate o presso le ville in collina dei liceali più ricchi o in apposite balere/discoteche della provincia più profonda. La cosa più penosa (almeno alle feste organizzate privatamente, fra ragazzi) era che si entrava a far parte di un mondo composto da occhiali fluorescenti prodotti da marche che venti anni prima neanche esistevano, acconciature a banana di dubbio gusto, t-shirt colorate malissimo e una colonna sonora talmente banale da apparire ridicola. Senza ombra di dubbio, gli anni ottanta sono stati la decade più povera a livello culturale: il cinema ha finito di avere vie di mezzo (i film dell'epoca o sono bellissimi o sono orribili), la letteratura faceva mediamente schifo (ha prodotto Ellis, per fortuna, che ha spiegato bene cosa sono stati quegli anni veramente) e la musica (specie se paragonata ai due decenni precedenti) ha raggiunto livelli di una bassezza sconfortante. Quest'ultimo punto era appassionatamente accentuato ai baccanali stile anni '80 organizzati dai liceali. Al di là delle becere Gioca Jouer di quel raccattato di Cecchetto, delle consuete Lambade e The Final Countdown, nessuno si era scomodato a mettere nella playlist del proprio iPod o nelle compilation in cd canzoni di artisti stranieri ben più rappresentativi dei consueti Duran Duran (che, per inciso, sembrava avessero pubblicato solo Wild Boys nella loro carriera) come Al Jareau, i Communards, Ivana Spagna, i Modern Talking, Sandy Marton, i New Order, Tom Hooker, i Dead Or Alive, Robert Palmer, gli Spandau Ballet, e chi più ne ha più ne metta; ma anche agli italiani non andava tanto meglio: la povera Donatella Rettore appariva solo al passaggio di Lamette (quante canzoni migliori di quella!), per poi lasciare il passo ai più atroci pezzi di Venditti e Baglioni. Nessuno, in quei saloni stucchevoli e carichi di ignoranza, sembrava ricordare che Vasco Rossi aveva inciso proprio negli anni ottanta i suoi dischi migliori o che Eros Ramazzotti aveva dato il meglio di sè in quel periodo: tale atteggiamento mi fu giustificato come <<Ma, sai, Vasco...Eros...è roba troppo commerciale!>>. Quindi, ad una festa dove erano presenti tutti i luoghi comuni più volgari degli anni '80, ascoltare Bollicine o Terra promessa sarebbe stata definita un'azione troppo "commerciale"? Il paradosso veniva raggiunto quando diciottenni bollicinosi coi capelli unti e vestiti completamente di nero montavano su un tavolo e, colpendo con un martello stile Thor uno stereo a forma di smile, inneggiavano al dio del Rock, declamando che avrebbero provveduto loro a far udire ai comuni mortali la vera musica degli 80's. E............................i Queen?! Ma di loro sarà bene parlare male un'altra volta. :)

Come possono essere stati così magnifici e colorati gli anni in cui, al potere, c'era gente del genere?

mercoledì 25 aprile 2012

Primavera bonelliana [Pt.3]: Historieta


La collana Color Fest è una delle tante "commercialate" tirate fuori dal cilindro Bonelli negli ultimi anni per far fronte all'impoverimento delle storie che hanno avuto protagonista Dylan Dog. Le trame dei consueti quattro episodi dell'albo sono quasi sempre molto piatte (la prima, scritta da Mignacco, si salva), e non c'è di che stupirsene (sulla regolare, purtroppo, abbiamo visto di peggio), ma è a livello grafico che questo Historieta ospita autori (alcuni non nuovi al panorama bonelliano, come Ortiz che disegna assiduamente su Tex e Font che negli anni '90 regalò uno dei più bei texoni di tutti i tempi con L'uomo di Atlanta) in forma più che mai. La grande nevicata e La dimora stregata sono, graficamente, dei gioielli che valgono da sole i 4,80 € del prezzo di copertina e che arricchiranno la colezione coloratissima dei "dylaniati". Una vera boccata di ossigeno, specie dopo aver (ri)letto La scelta sul Super Book uscito pochi giorni fa e aver rigettato la cena pasquale (dello scorso anno, ovviamente) a causa dei disegni del povero Piccatto.

domenica 22 aprile 2012

[Recensione]To Rome With Love


Ultimamente, quando esce un film di Woody Allen, può essere costruttivo recarsi al cinema con lieve anticipo sull'orario di proiezione e ascoltare il "cicaleccio" di spettatori che si vantano di non avere nè televisione nè PC ma che conoscono -misteriosamente- a memoria lo storico intervento dello stesso Allen al programma Il senso della vita (mandato in onda su Canale 5, quasi sette anni fa), oppure le riflessioni collettive di liceali maleodoranti, o ancora le esclamazioni cinefile di qualche contadino arricchito (<<Ah, ma che unn'è di Benigni?!>>). Poi, in sala, inizia To Rome With Love (A Roma con amore sarebbe stato troppo provinciale, vero?), con Modugno che canta Nel blu dipinto di blu sui titoli di testa. Pur non credendo, ho ringraziato Dio che il vecchio Woody si sia risparmiato i prologici dieci minuti di cartoline sulla città presentati all'inizio di Midnight in Paris. Quando un vigile urbano (visibilmente e inspiegabilmente doppiato dal romanesco ad un italiano così corretto da apparire ridicolo) introduce i personaggi dei vari episodi, già iniziano i problemi. Vedere un ottimo attore come Alec Baldwin ridotto ai termini di una macchietta ectoplasmica sospesa fra cinico e malinconico, fa pensare; il bravo Jesse Eisenberg diviene il solito svampito ebreo di buona famiglia; la Cruz (prostituta che inizia al vero sesso un rappresentante della Roma più bigotta e papalina) è estremamente volgare e del tutto fuori luogo; Benigni, dopo sei anni lontani dal grande schermo, è penoso, anche se diretto da un regista sensibilmente migliore di lui (ci vuole poco!); Allen (pure tornato a recitare dopo sei anni) diverte sempre, con un paio di battute fulminanti e un ruolo lievemente marginale condiviso con la evergreen Judy Davis. La Roma che si vede sullo schermo non esiste, ha ben poco di felliniano (come anticipato dai critici), e molto poco anche di alleniano. L'episodio di Benigni è, per tematiche, l'unico valido e un pò più profondo del film: mette a fuoco l'atteggiamento tipicamente italiano di rendere celebri le totali nullità, la smania dell'uomo comune di apparire a tutti i costi, l'ipocrisia dei media, che si fanno portatori di una insulsa "democrazia" televisiva, dove l'impiegato di serie C ambisce alla condizione di V.I.P. e inizia a svendere la propria vita privata, manco si trattasse di un film pornografico. Ma che gli italiani fossero un popolo di paparazzi e di paparazzati già lo sapevamo: non importa vedere  To Rome With Love (2012), quando possiamo riguardarci La dolce vita (1960) e stare comunque molto meglio. Era dai tempi di Criminali da strapazzo che Woody Allen non cadeva così in basso. Io propongo un ritorno a New York. Poi, faccia lui...

venerdì 20 aprile 2012

[Recensione]Superman#1+Action Comics#1


Odio Clark Kent, sopporto poco Superman e per me i dieci anni (2001-2011) di Smallville potrebbero tranquillamente essere cancellati dagli archivi televisivi (per non parlare delle versioni cinematografiche realizzate sul personaggio). La notizia che Mondadori avrebbe avviato, in allegato a Panorama e Sorrisi e Canzoni TV, una collana interamente dedicata all'uomo di acciaio non mi ha minimamente toccato. Ho cambiato idea quando ho appreso della presenza del fac-simile del primo numero di Action Comics, datato giugno 1938 e allegato a L'uomo di acciaio. Ho letto frettolosamente e con grande indifferenza l'albo di Superman (apprezzandone molto i disegni di Frank e del maestro Steranko), e sono subito passato, con curiosità morbosa, a sfogliare questo "regalone" targato DC/Lion. Ho trovato estremamente affascinante la prima apparizione di Superman, ma, quando si arriva a leggere un gioiello western come Chuck Dawson, si capisce quanto il fumetto sia veramente cambiato: dialoghi al limite del melò, didascalie da teatro di provincia sudista e disegni semplici ma estremamente efficaci. Poi ho scoperto Zatara (un fratello segreto nascosto in soffitta di Mandrake), il bel racconto illustrato La strategia dei mari del sud di Captain Frank Thomas, il comico Sticky-Mitt Stimson (di lieve stampo segariano) che farebbe invidia a molti fumetti demenziali del nostro tempo, The adventures of Marco Polo di Sven Elvén (originale e pieno di idee felici), il razzista-sportivo "Pep"Morgan (un pugile bianco deve sconfiggere un pugile nero molto poco somigliante ad un essere umano e simpaticamente ribattezzato "l'Aborigeno") e il minestrone poliziesco-giornalistico Scoop Scanlon. Vale spendere, infine, due parole in più in merito a Tex Thomson, racconto firmato da tale Bernard Baily e narrante le vicissitudini di Tex, un trentenne annoiato, arricchitosi grazie al petrolio e sempre alla ricerca di novità e avventure: insomma, un fumetto su un vero self made man, un arrampicatore sociale-americanissimo-cowboy-arricchito il cui unico nemico sembra essere la noia. Nel retrocopertina, troviamo una pagina di "gossip" dedicata agli allora miti di Hollywood (Fred Astaire, Constance Bennett, Charles Boyer e Wheeler&Woolsey, due comici a me sconosciuti). Chiudendo Action Comics viene da pensare: <<Ma una rivista con roba simile, più vicina ai nostri tempi come toni e stile, e prodotta in Italia?>>. Eh no, anche questo è passato di moda.

martedì 17 aprile 2012

Perchè andrò a vedere il nuovo film di Woody Allen

A tre giorni dall'uscita di To Rome With Love (spero che da noi lo vedremo come A Roma con amore), chi mi conosce bene ha già iniziato a dire <<Non c'è bisogno di chiederti se vai a vedere il nuovo film di Woody Allen!>>, non mancando di aggiungere critiche spassionate riguardo al fatto che la situazione da "americano a Roma" sia ormai trita e ritrita (si va dal capolavoro Vacanze romane fino ad insulsi film tv tratti dalla serie Sabrina vita da Strega) o che la figura di Roberto Benigni risulti essere un'immane forzatura voluta da una produzione capitanata da "mamma Rai". Sento di essere in piena sintonia con questa linea di pensiero, parto dubbioso, come già avevo fatto con Midnight in Paris (un passo falso clamoroso), ma so che andrò comunque a vedere il film italiano di Woody Allen, perchè se lo merita e perchè, ormai, è uno dei pochi che ancora riesce a fare grande cinema.
Woody Allen (al secolo, Allan Stewart Konigsberg) ha avuto, come molti altri grandi artisti, l'infausta sorte di diventare portata principale ad un "simposio pseudofilosofico" (per dirla con il Labranca) che lo ha trasformato, ad esempio, nel protagonista assoluto di squallide pagine su Facebook ("Io amo Woody Allen", "Tutte le frasi di Woody Allen", "Le 100 migliori battute di Woody Allen", "Vivere come Woody Allen") o di squallidi remake girati con un iPhone 4S per poi venire pubblicati su Youtube. Una cultura sbagliata (quasi sempre di sinistra) ha voluto consegnare, almeno nel nostro paese, l'immagine di un anziano intellettuale che vive in qualche fatiscente appartamento simil-vittoriano, senza computer e senza televisore: a questi signori consiglio vivamente uno splendido libro uscito nel 2009 per Bompiani e intitolato Conversazioni su di me e tutto il resto (scritto insieme ad Eric Lax, del New York Times), che potrà forse servire a disappannare cervelli critici fermi ad oltre quarant'anni fa. A chi invece cita per il semplice gusto di farlo frasi estrapolate (talvolta tradotte anche male) dai suoi film consiglio di provare a vedere seriamente una qualsiasi delle sue pellicole, senza mandare avanti il timer di fronte ad alcuni meravigliosi silenzi. A certi scrittori autoprodotti, poeti trombati a concorsi scolastici e videomaker che rigirerebbero C'era una volta in America usando la modalità "video" delle loro Canon Eos potrà apparire disarmante sapere che la famosa <<-Dio porta gli occhiali?-Non con quella montatura!>> è una battuta pronunciata durante un tragico dialogo sulla casualità della natura umana in Amore e Guerra. Gli esponenti della cultura media amano isolare i momenti più semplici di opere d'arte complesse: al cinema penso non solo alle battute folgoranti dei film di Woody Allen, ma anche al monolite di 2001 (tutti lo conoscono perchè appare dopo dieci minuti di film, e nessuno sa cosa accade nelle restanti due ore e un quarto), al napalm di Apocalypse Now, al pestaggio dei drughi in Arancia Meccanica (evidentemente, a stilisti rincoglioniti e tifosi imbecilli, basta quello per creare linee di abbigliamento e stili di vita non proprio lodevoli), alla partita a scacchi de Il settimo sigillo, al felliniano bagno nella fontana di Trevi de La dolce vita: si tratta di materiale pulito e autoconcluso, comodo da citare perchè posto all'inizio di grandi opere e perchè tranquillizza come le dita michelangiolesche o le madeleines proustiane, gratificando comunque i commensali del banchetto pseudofilosofico, pigri e sprovveduti come pochi. Purtroppo, tutte queste elucubrazioni trovano spazio sia in manuali agiografici di dubbio gusto (sullo stesso Allen abbondano libelli in cui film capitali scomapiono misteriosamente dalla filmografia o in cui si tengono interviste immaginarie, frutti di future e giustificate querele) che nell'intricata rete globale, dove si discute del maschilismo nel cinema alleniano o si tracciano parallelismi fra un capolavoro come Interiors e l'adattamento di Tre sorelle ad opera di Visconti. A differenza di questi signori che campano (?) riempiendosi la bocca di parole greche, Woody Allen è davvero una persona colta: basta prendere uno qualsiasi dei suoi film e ritrovare le innumerevoli citazioni cinematografiche, pittoriche e musicali per rendersene conto; ma proprio perchè egli è figlio di una cultura ispirativa e non espositiva, spesso le citazioni sono ben nascoste (penso alle inquadrature hopperiane di film come Interiors o Un'altra donna, alla luce svedese di Crimini e Misfatti, ai quadretti impressionisti di Una commedia sexy in una notte di mezza estate e a tantissime altre), non a scopo di autocompiacimento intellettuale, bensì a dimostrare come immagini e musica confluiscano in un semplice racconto che presenta, bene o male, sempre i soliti meccanismi. La genialità dello stile di Woody Allen sta in questo. Tutto il resto è noia.

lunedì 16 aprile 2012

[Recensione]Mytico (#1)

"Un'iniziativa senza precedenti: il primo fumetto allegato ad un quotidiano": così recita l'editoriale firmato da Fabio Licari che apre il primo numero di Mytico, serie settimanale allegata al Corriere della Sera, un quotidiano che già nel 1908 presentò il suo periodico solo a fumetti (il Corriere dei Piccoli) e che dimostra quindi di voler tornare, dopo ben 104 anni, a scommettere sui cari vecchi, comics. 
Quando l'edicolante di fiducia me lo ha consegnato ho pensato <<Ma... ha capito Iron Man?!>>, e invece mi sbagliavo: il formato di Verso la gloria (questo il titolo del numero uno) è uguale ad uno dei tanti comics americani; il disegno di copertina realizzato da Martinello mi ha fatto ben sperare, e perfino il fatto che il titolo della serie sia scritto con la y (non per essere più "tamarro" e piacere di più ai ragazzini, ma per rimandare al vocabolo μῦτθος, che in greco vuol dire sia "parola" che "mito" o "racconto favoloso"). L'idea del personaggio di Leandros (un ragazzo comune che osserva le gesta dei grandi eroi) non è una cattiva trovata, ma raffigurare un Achille ispirato al Brad Pitt dell'orrendo Troy lascia un pò perplessi. In generale, il lato grafico del fumetto l'ho trovato veramente mediocre: i disegni di Riccadonna hanno un tratto per nulla piacevole, sembrano disegnati alla svelta e con disinteresse e colorati (da un certo Meloni) con ancor meno garbo. Va bene fumetto popolare, va bene il prezzo simbolico di 1€, ma un pò più di cura a questi poveri greci e troiani potevano anche dedicarla! Da lodare, ad ogni modo, una sceneggiatura non facile da gestire (concentrare molti libri dell'Iliade in 24 pagine non è poca cosa) e incredibilmente precisa e fedele alla mitologia ufficiale, e le rubriche interne: C'era una volta il mito e Metamytico!, entrambe curate da Monica Manzoni, consegnano al lettore nozioni precise e interessanti sulla materia epica nell'antichità, attestando così alla serie un'ulteriore nota di serietà. Peccato che un fumetto destinato ad un pubblico di dodicenni saprà cogliere fino ad un certo punto queste sapienti "note a margine". Ad oggi, pochi ragazzini hanno letto l'Iliade e si intendono di mitologia, e se magari, quando arriveranno al ginnasio, parleranno di Teti come di una Winx, descriveranno Ares come un monaco shaolin e conferiranno ad Apollo i poteri di uno degli X-Men, gli insegnanti sapranno forse con chi prendersela.

giovedì 12 aprile 2012

[Recensione]What If...? Classic-Cosa sarebbe successo se gli Invasori fossero rimasti assieme dopo la Seconda Guerra Mondiale?


Nel corposo panorama editoriale Marvel fa capolino, questo mese (edito nella bimestrale Marvel Collection Special), un'antologia composta da cinque vecchie storie della serie What If...?, collana bizzarra, dedicata ai mondi paralleli Marvel e creata da un certo Roy Thomas nel lontano 1977. Il primato qualitativo, a mio avviso, spetta alla storia con cui si apre il volume, e cioè E se... gli Invasori non si fossero sciolti dopo la seconda guerra mondiale?(scritta dallo stesso Thomas), che- come si può leggere nell'editoriale del Brighel -pare sia l'unica a non essere ambientata in alcun mondo parallelo ma nell'Universo Marvel vero e proprio. Molte altre lodi vanno a E se... i Vendicatori si fossero formati negli anni '50? (firmata Don Glut) e alla conclusiva E se... Sub-Mariner non avesse recuperato la memoria? (datata 1981 e sceneggiata da Steven Grant con i disegni non eccelsi di Buckler&McCleod).
A tirare le somme, la storia che mi ha convinto meno e che poteva far risparmiare alla Panini Comics ben 28 pagine (pur presentando un ottimo volume) è proprio quella il cui titolo aveva destato più interesse in me: E se il mondo avesse saputo della cecità di Devil? risulta davvero forzata e ridicola, specie di fronte all'arrivo di Electro e dell'Uomo Ragno. Ad ogni modo, è l'unico passo falso compiuto in un'iniziativa editoriale davvero notevole e davvero imperdibile.

mercoledì 11 aprile 2012

I ♥ Tweet (?)

Dove vai se Twitter non ce l'hai? recita "l'altra copertina" de L'Espresso n.15.
La domanda, noi italiani, iniziamo a porcela ora, ora che Twitter ha compiuto (di fresco) sei anni, ora che Fiorello è scomparso dal microblog più visitato del pianeta, ora che i politici vengono seguiti più su questa piattaforma che in televisione o sui quotidiani. Questo succede perchè Twitter permette, più di ogni altro mezzo di informazione presente sulla terra, di scavalcare i media (tv, giornali, forum di informazione, ecc.) e di attingere le notize direttamente alla fonte: finalmente il "mito" si fa persona comune, per la gioia di tutti quei poveracci che aspettano, ansiosi, le fotografie di qualche spiaggia del Pacifico postate dal "bellone" o dalla "bellona" di turno, mentre loro mettono da parte i soldi per un misero posto roulotte in qualche camping sovraffolato.
Invece, i famosi "140 caratteri" sono alla base di quella che, nel nostro paese, sta assumendo sempre di più le forme di una vera e propria polemica culturale. Ci sono i criticoni come Michele Serra (su Repubblica si scaglia contro forma e contenuto dei micropost che appaiono su Twitter) e gli strenui difensori di un sistema che fa della brevitas il proprio cavallo di battaglia. Sembra di tornare ai tempi dell'Ellenismo, quando il rivoluzionario Callimaco si divertiva a inveire contro la Retorica aristotelica (secondo la quale, un'opera di alto livello doveva essere per forza"estesa") e scriveva grandi poesie di due righe; al contrario, Apollonio Rodio si batteva per una cultura conservatrice, dove solo un poema pomposo come Le Argonautiche poteva divenire l'opera letteraria prediletta dalla comunità. La storia dette ragione a Callimaco: infatti, gli epigrammi (brevi componimenti poetici) hanno avuto una fortuna incredibilmente più vasta rispetto all'interminabile poema epico di Apollonio, tant'è che anche dopo il X secolo si continuavano a scrivere epigrammi. 
Fa impressione vedere come all'estero, per ogni show, tg, evento sportivo o altro le tv indichino ormai agli spettatori l'hashtag (ad es. #superbowl) di Twitter dove poter lasciare commenti. Questo a dimostrare che la televisione sta ormai mostrando tutti i suoi limiti (neanche il Grande Fratello miete più le vittime delle prime edizioni). E Twitter? E'davvero il social-network del futuro? Mostrerà presto i suoi limiti, come la tv o Facebook? 
Non saprei, ma è senz'altro il social-network del presente, il più semplice e il più immediato, un luogo virtuale che, citando l'onorevole Casini in uno dei suoi momenti "positivi", "è un grande laboratorio di democrazia, dove non esistono filtri e gerarchie". 

venerdì 6 aprile 2012

Primavera bonelliana [Pt.2]: 30 ANNI DI MYSTERI


Non nego che, quando uno dei propri fumetti preferiti compie 30 anni, un pò di emozione la si prova. Mi sono avvicinato a Martin Mystère alla fine degli anni '90 e l'ho subito trovato complesso, unico e coinvolgente. Molti anni dopo, ho avuto la fortuna di esporre nella mia collezione il mitologico numero 1, originale, targato 1982; ecco, quella stessa storia la rivedo oggi (lievemente modifcata, e ne spiegherò dopo il perchè) in questo imponente numero 320.
L'importanza storica nell'editoria bonelliana ricoperta dalla creatura di Castelli e Alessandrini è innegabile, poichè MM viene comunemente ritenuto il personaggio "spartiacque" fra il vecchio eroe bonelli (Tex, Zagor, Mister No) e quelli più "moderni" (Dylan Dog, Nick Raider e Nathan Never). Nato come "fumetto per pochi", è rimasto, negli anni, fedele ad una linea destinata ad un pubblico più "selezionato"ed esigente. Oltretutto, non dimentichiamo che le indagini mysteriose narrate dalla geniale penna di Castelli hanno anticipato quelle del professor Umberto Eco (quanti mysteri ne Il pendolo di Foucault) e dei tanti Giacobbo che appestano l'universo catodico dei nostri giorni. Gli anniversari mysteriosi sono sempre assomigliati (sin dal numero 121, che festeggiava il decennale del personaggio) a delle bizzarre riunioni di famiglia, dove il "buon vecchio zio Marty" si ritrova a tracciare un bilancio delle sue avventure; poi, nel 2002, esce Vent'anni di mysteri, che si presenta come un albo con 96 pagine in più (all'epoca, la testata usciva mensilmente in albi di 98 pagine) e comprende un dizionario mysterioso. Per questo trentennale ci ritroviamo di fronte ad Anni 30, 228 pagine, un racconto inedito firmato Castelli e Alessandrini e una storia (mai pubblicata prima) risalente al 1981, dove un certo Doc Robinson è il protagonista: si tratta di un "prototipo" del primo numero di MM, il cui nome era stato momentaneamente modificato per problemi di "leggibilità", come dichiara lo stesso Castelli nel commovente editoriale di questo mese. Insomma, tante sorprese mysteriose in un solo albo. 

Dieci anni dopo (1992)

Vent'anni di mysteri (2002)


Il vero uovo di pasqua viene covato in edicola.

giovedì 5 aprile 2012

Nostalghia di un maestro


ANDREJ TARKOVSKIJ 
(4 aprile 1932-29 dicembre 1986)


Ieri Tarkovskij avrebbe compiuto ottant'anni. E'considerato, con appena nove film (girati fra il 1960 e il 1986), il settimo miglior regista di tutti i tempi. Le sue opere (certo non di facile comprensione contenutistica) sono un flusso ininterrotto di bellezza pittorica, rappresentano il fotogramma di celluloide che diviene, nel tempo, olio su tela. Nella ricerca della perfezione stilistica è secondo solo a Kubrick, nello scandagliare gli animi dei suoi personaggi archetipici può ricordare (specie nel testamento artistico Sacrificio, che non casualmente fu prodotto e girato in Svezia) il migliore Bergman. Esule sin dalla giovane età, odiatissimo dal Partito Comunista Sovietico, raccontò la sua difficile infanzia russa ne Lo specchio e i suoi ultimi pellegrinaggi italiani in Nostalghia. Con Stalker e Solaris regalò alla fantascienza abbastanza argomenti da approfondire in ulteriori cinquant'anni di cinema. Senza di lui non avremmo mai avuto il Leone d'Oro Aleksandr Sokurov (il suo discepolo prediletto), Werner Herzog, Lars von Trier e alcune opere di Wim Wenders.
E in questi giorni, quando al cinema si aspetta- al massimo -I Vendicatori o ri-regaliamo a James Cameron i milioni di dollari per un Titanic 3D, io mi ritrovo a provare, come Oleg Jankovskij nell'omonimo film, un pò di nostalghia per un maestro venuto a mancare con troppo anticipo.

mercoledì 4 aprile 2012

[Recensione]Buona Giornata

In questi tempi di crisi, è di gran moda compatire i "grandi uomini" che, in epoche più floride, hanno contribuito a fare grande l'Italia. Lo ha ampiamente dimostrato Verdone con il suo recente Posti in piedi in paradiso, mettendo tre professionisti decaduti (un ex-produttore di successo, un ex-critico di successo e un ex-immobiliarista di successo) in una casa a piangersi addosso fra crisi lavorative e crisi affettive. I Vanzina, con Buona giornata, allargano le vedute del povero Carlo, tessendo una trama episodica maldestra e intrisa di situazioni ridicole, e il risultato è clamorosamente penoso: un De Sica [il principe decaduto] più incapace di sempre nel proprio mestiere di attore che ancora continua a fotocopiarsi, dopo quasi quarant'anni di attività; Diego Abatantuono [rappresentante frustrato] (sceneggiatore del proprio episodio barese) che strappa qualche sincero sorriso ma scade, nel finale, nei toni di un provincialismo terrificante; Lino Banfi che, nei panni di un "onesto" politico baciapile, si ritrova coinvolto in situazioni transessuali al limite del barzellettistico; Conticini [uno scaramantico borghesuccio tifoso] che dimostra quanto al peggio della comicità toscana non si pongano limiti; Mattioli [l'imprenditore evasore] che recita peggio di un ortolano di qualche rione romano; Salemme [il notaio] che nel suo pseudoruolo raggiunge picchi di antipatia inimmaginabili.
Che fine hanno fatto gli Yuppies della "Milano da bere" che (sempre col sorriso) tanto di vero mostravano dell'Italia degli anni'80? Dov'è il "macellaio arricchito" del primo Vacanze di Natale? Dove si è nascosto il coraggio di far vedere cosa davvero succede ai bordi delle passerelle della moda di Sotto il vestito niente? E'davvero quella promossa dai Vanzina la nuova commedia all'italiana?
Questi e molti altri interrogativi mi hanno tempestato mentre, coprendomi il volto con una copia di Libero, uscivo dal cinema. Eppure, ci sono stati dei critici che hanno addirittura paragonato questo film ad una vecchia e splendida commedia nostrana, cioè La domenica della buona gente (1953) di Majano. Effettivamente, sono presenti alcune analogie (il film ad episodi, la voglia di raccontare varie vicende e trovare un punto dove tutte si intersecano), ma le differenze saltano agli occhi. Una su tutte: nel '53 Renato Salvatori interpretava benissimo un borgataro onesto, simpatico, "povero ma bello" che coronava la sua domenica andando a tifare la Roma; nel 2012 Conticini interpreta malissimo un tifoso viola impomatato e depilato che gira sulla sua rombante spider nuova di zecca per le strade di Verona. E poi non si dovrebbe provare nostalgia?

domenica 1 aprile 2012

Primavera bonelliana [Pt.1]


Credo sia sotto gli occhi di molti seri appassionati il fatto che Dylan Dog sia un personaggio bonelliano che ha "mostrato la corda" molto presto. A mio avviso, fino a poco dopo il numero 200 tutto è andato bene, fra molti alti e pochissimi bassi; dopodichè, la serie ha subito una brusca frenata di aspetti qualitativi, sia grafici che contenutistici (con qualche rara eccezione, si intende). Con questo numero 307, la situazione sembra momentaneamente risollevarsi, visto che i fan dell'indagatore dell'incubo più introspettivo ed esistenzialista troveranno pane per i loro denti: niente Londra, niente "grouchate", niente Bloch; una donna che (per fortuna) non si vede mai, una bella trasferta in un tetro sobborgo di Edimburgo e un assassino ben studiato. Questi gli ingredienti di un numero che risolve una situazione editoriale che, negli ultimi due anni, ha spesso rasentato l'illeggibile. Per chi, come il sottoscritto, compra puntualmente Dylan Dog sarà un sollievo leggere L'assassino della porta accanto; a chi, invece, lo acquista sporadicamente, lo consiglio, poichè vi potrà ritrovare alcuni elementi che hanno regalato a Dylan storie fantastiche (anche se in tempi migliori...).
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Zagor è Zagor. Basta l'eccellente speciale Sangue nero (uscito a fine marzo) a dimostrare che, ovunque, lo si metta, Zagor risulta essere un personaggio che continua a dare buoni frutti. Pacifico! (numero 612) ribadisce il concetto esposto sopra, proseguendo in maniera molto avvincente (merito soprattutto della penna di Rauch) l'epopea sud-americana dello spirito con la scure. Arrivati a pagina 98, si è davvero curiosi di sapere cosa succederà nel prossimo numero, e in quello dopo, e in quello dopo ancora. Insomma, sapere che per ancora due anni (cioè fino al 2014) Zagor e Cico saranno in Sudamerica tiene acceso un desiderio di nuove avventure che sarà difficile eliminare (almeno per me...).