lunedì 25 febbraio 2013

Riflessione sulla ottantacinquesima edizione dei premi Oscar [Ombre elettriche]


Ieri notte mi sono divertito a scrivere i miei premi Oscar su Facebook. Ecco la lista: 
MIGLIOR FILM: "Django Unchained"
MIGLIOR REGIA: M. Haneke ("Amour")
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: J. Phoenix ("The Master")
MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA: J. Chastain ("Zero Dark Thirty")
MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: C. Waltz ("Django Unchained)
MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: A. Adams ("The Master")
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: Q. Tarantino ("Django Unchained")
MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: C. Terrio ("Argo")
MIGLIOR FILM STRANIERO: "Amour"
MIGLIOR FILM DI ANIMAZIONE: "Ralph Spaccatutto"
MIGLIOR FOTOGRAFIA: R. Richardson ("Django Unchained")
MIGLIOR SCENOGRAFIA: S. Greenwood ("Anna Karenina")
MIGLIOR MONTAGGIO: D. Tichenor ("Zero Dark Thirty")
MIGLIOR COLONNA SONORA: D. Marianelli ("Anna Karenina")
MIGLIOR CANZONE: "Everybody Needs A Best Friend" ("Ted")
MIGLIOR EFFETTI SPECIALI: J. Letteri ("Lo Hobbit")
MIGLIOR SONORO: S. Millan ("Skyfall")
MIGLIOR MONTAGGIO SONORO: W. Stateman ("Django Unchained")
MIGLIOR COSTUMI: J. Durran ("Anna Karenina")
MIGLIOR TRUCCO E ACCONCIATURA: P. Swords King ("Lo Hobbit")
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO ANIMATO: "Paperman"

Ho tralasciato i premi al miglior documentario, al miglior cortometraggio e al miglior cortometraggio documentario, e in sei casi ho indovinato il vincitore: infatti, Waltz ha vinto come dottor King Schultz la sua seconda statuetta (ad appena tre anni da Bastardi senza gloria); Tarantino ha ottenuto il suo secondo Oscar per la migliore sceneggiatura (il primo era stato nel 1995, con Pulp Fiction); Chris Terrio si è portato a casa, invece, il premio per la migliore sceneggiatura non originale grazie al bellissimo Argo (che recensii mesi fa e di cui dopo parlerò meglio); non ancora pago di un successo strameritato ottenuto in lungo e in largo, Amour puo' aggiungere alla sua collezione anche l'Oscar come miglior film straniero; anche l'impeccabile lavoro svolto per i costumi di Anna Karenina ha avuto la sua statuetta; infine, il capolavoro Paperman (proiettato all'inizio di Ralph Spaccatutto) si è portato a casa il premio al miglior corto animato.
Questi Oscar mi sono piaciuti perchè: 
Seth McFarlane è stato bravo, ma soprattutto si è portato dietro Ted.
Steven Spielberg e il suo Lincoln, pur essendo i favoriti, sono stati un po' maltrattati e ben li sta. 
Delle cinque statuette cui era candidato, Django Unchained ha portato via "l'essenziale", il che è sempre troppo poco ma va bene. 
Il premio per il miglior film è andato ad Argo, non il mio preferito fra i candidati ma comunque un film che ha tutte le carte in regola per meritarsi la più prestigiosa fra tutte le statuette. Bravo, Ben Affleck!
Amour di Haneke non vincerà mai abbastanza premi.
Qualcosa è riuscito a vincere anche lo splendido Anna Karenina di Wright.

Questi Oscar non mi sono piaciuti perchè:
Il film più premiato è stato Vita di Pi. Vergognatevi!
Se Ang Lee risulta essere miglior regista, vuol dire che nella vita ce la possiamo fare davvero tutti.
Visto il ruolo con cui ha ottenuto l'Oscar la Hathaway, nel 1975 avrebbero dovuto darlo a Liù Bosisio (la prima Pina Fantozzi).
Due capolavori "scomodi" non hanno ricevuto neanche un premio, e parlo di The Master e di Zero Dark Thirty
Moltissimi Oscar tecnici mi sembrano dati veramente "a caso". Non c'è una logica.
Ad Adele il premio alla miglior canzone con Skyfall. Banalità portami via!

La foto più bella della serata














Alla prossima...

sabato 23 febbraio 2013

[Recensione] Anna Karenina

Anna Karenina viene scritto da Tolstoj fra il 1875 e il 1877 (anno della prima pubblicazione integrale), e rivoluziona praticamente l'intera letteratura europea dell'Ottocento. A mio avviso, si tratta del romanzo di Tolstoj più bello, nonchè di uno dei dieci libri più belli di sempre: Anna Karenina, semplicemente, ha tutto.  Ora, portare sullo schermo la tragica storia di una bellissima aristocratica votata al tradimento non è cosa da poco, specie se si ha davanti un soggetto (in questo caso, il romanzo di Tolstoj) di un migliaio di pagine. Tom Stoppard, sceneggiatore ma primariamente grande scrittore e autore teatrale, è l'uomo adatto per scrivere l'Anna Karenina degli anni 2000: l'essenza del libro, i personaggi principali, le situazioni tragiche e amorose vengono tutti inseriti in un contesto teatrale. Ed è all'interno di un teatro che l'Anna Karenina di Joe Wright va in scena, con attori di prim'ordine (tutti bravissimi, dal primo all'ultimo), costumi memorabili, musiche splendide (colonna sonora di Dario Marianelli) e scenografie accuratissime. 
Anna e Aleksei Karenin vivono a San Pietroburgo, sono sposati da otto anni, hanno un figlio e godono di una posizione di prestigio nell'alta società russa. Tutto va bene fin quando Anna non conosce, ad una stazione ferroviaria, il conte Vronskj, giovane e sregolato ufficiale dell'esercito. Parallelamente, vanno avanti altre due microstorie: da una parte, quella di Stiva, fratello di Anna che ha pensato bene di tradire la moglie con una governante; dall'altra, quella di Levin, giovane e ricco proprietario terriero dai forti ideali socialisti che finirà sposato con la brava Kitty (già promessa al conte Vronskj). Anna e il conte I si amano, ma sono costretti ad una relazione clandestina, visto che nessuno dei due vorrebbe compromettere la propria posizione sociale e Aleksei non concederebbe mai il divorzio ad Anna. Tutto cambia quando lei rimane incinta del giovane soldato e confessa al marito il tradimento. Fra scandali e pietose liti domestiche, Anna partorisce la bambina avuta col conte, e Aleksei dimostra la sua magnanimità dandole il proprio cognome; poco tempo dopo, Anna fugge col conte, lasciando entrambi i figli al marito e attendendo il divorzio. Nonostante abbia finalmente accanto l'uomo che ama, Anna è sempre più gelosa e tormentata: finchè un giorno, convinta che Vrosnkj stia avendo una relazione con una giovane principessa, si butta sotto un treno. 
Joe Wright (regista perfetto per questo genere di film) dimostra di averne fatta di strada dai tempi di Orgoglio e pregiudizio e di Espiazione, così come la Knightley continua a crescere e ad allontanarsi (per sua ma anche nostra fortuna) dalla principessa premestruata dei Pirati dei Caraibi, a favore di uno stile sempre più maturo e convincente. Da tempo non vedevo una trasposizione così fortemente personale (e, per certi versi, anti-commerciale), ma Wright dimostra di saper "uscire dall'esterno" e di chiudere il 90% del suo film su un palcoscenico, così come hanno fatto, nella tradizione dei grandi registi inglesi, autori del calibro di Derek Jarman o Peter Greenaway prima di lui. E questo giocare fra film, teatro e realtà finisce col funzionare, tant'è che l'ultima meravigliosa inquadratura mostra un campo fiorito "sfondare" la scena (dunque lo schermo) ed estendersi alla platea, a simboleggiare una fusione quasi totale fra spettacolo e spettatore e a ricordare che forse c'è un po' di Anna Karenina in ognuno di noi e che chiunque è infelice a suo modo. 

mercoledì 20 febbraio 2013

Cinedicola, una guida all'acquisto di riviste di cinema italiane [Album]

Basta bazzicare qualsiasi edicola per accorgersi di quanta carta stampata riguardi il cinema. Anche adesso che un certo tipo di editoria è in crisi, le riviste di cinema continuano a riempire gli scaffali. Ma sono davvero tutte valide? Meritano realmente tutte di essere lette? Su ognuna di queste si possono leggere parole che appassionano ulteriormente al cinema? No. 
Prendiamo, ad esempio, Best Movie o Total Film: sono carta straccia costosa e inutile, in quanto incentrate quasi esclusivamente sulle novità e sulle anteprime; peccato che news e anteprime siano il pane quotidiano su internet, e chiunque può fruirne gratuitamente tramite numerosi siti web, siano essi generici (tipo BadTaste) o più "specifici" (irrinunciabile per gli horror maniacs è il portale Splatter Container), e agli stessi blog (in Italia, abbiamo Cineblog, che non è male). Spostiamoci sul versante pseudo-critico, e analizziamo Ciak. Ecco, io credo che Ciak stia alla "rivista di cinema" come Il cinematografo di Marzullo sta alla "televisione sul cinema": l'unico interesse di Ciak è vendere copie e convincere il lettore a recarsi a vedere qualsiasi film. Oltre ad avere il nefasto difetto di troppa pubblicità (ne ha più di quella merda di Rolling Stone, non sto scherzando), Ciak ospita critiche brevi e sterili (il massimo della cattiveria è "Questo film non mi è piaciuto molto, ma ha dei buoni momenti"): non ha il coraggio di approfondire, di portare avanti un discorso di critica vera, sincera, con "le palle". Insomma, quella che da molti è considerata la prima rivista di cinema italiana, è un semplice rotocalco che si occupa di film. Quindi, lasciando fuori costosi "tomi" di critica cinematografica come Cineforum, cosa rimane in edicola?

FILM TV. Settimanale di cinema perfetto: ricco, pieno di gente giovane che ha passione nel fare il proprio mestiere e anche di grandi veterani (fra cui Ghezzi, che è il miglior critico cinematografico d'Europa), regala (per appena 2 €!) anteprime, novità, recensioni di film in sala e di film alla televisione (quest'ultimi correlati da critiche più breve ma interessanti), una locandina ad ogni numero, e rubriche che vanno dall'orscopo cinematografico ai fumetti, dalla musica ai telefilm. Personalmente, lo leggo dal maggio 2001 e non ho mai perso un numero.




DUELLANTI. Rivista di critica realizzata superbamente, la preferisco alla Rivista del Cinematografo. Difficile e impegnativa, ma incredibilmente precisa nell'analizzare un film (analisi che può prolungarsi in una quarantina di pagine), senza mai apparire verbosa. Per chi ne sa già abbastanza sull'argomento, è un appuntamento irrinunciabile che nulla ha da invidiare al più "austero" Cineforum.






NOCTURNO. Destinata ai cine-maniaci spinti, si occupa prevalentemente di cinema di genere: fra i suoi redattori si annoverano coloro che hanno riscoperto molti autori e film scomparsi; non sempre la qualità è eccelsa (esagerano un po' nel definire capolavori film che erano orribili trent'anni fa come lo sono oggi), ma ogni pagina trasuda una vera passione per la Settima Arte. Non perdete alcuni DVD allegati e il dossier integrato, vera chicca per gli amanti dei numerosi generi che Nocturno affronta di mese in mese.






martedì 19 febbraio 2013

Collezione storica a colori n°3 [Bang!]

Visto che nell'ultima rubrica "Bang!" mi ero occupato delle iniziative da edicola di RCS e Il Sole 24 Ore, oggi spetta di diritto al gruppo L'Espresso.
Infatti, da domani, oltre al 54esimo Zagor a colori, troverete nelle edicole (al prezzo di 1 €) il primo numero della terza collezione storica a colori, e cioè Dylan Dog. Inutile dire che l'acquisto è consigliatissimo, sia ai fan più maniacali (come il sottoscritto) che a coloro che non si sono mai avvicinati all'indagatore dell'incubo. E non esiste ancora un applauso abbastanza fragoroso per le persone che hanno deciso, coraggiosamente, di portare avanti parallelamente a Zagor (arriverà al numero 71, ma non si escludono ulteriori "proroghe", viste le incessanti richieste dei fan dello spirito con la scure dei quali ho il piacere di fare parte) una nuova e impegnativa ristampa bonelliana. Gli albi saranno di formato identico sia ai Tex che agli Zagor e comprenderanno tre storie l'uno (e non aver letto L'alba dei morti viventi, Jack lo squartatore e Le notti della luna piena è come non avere mai visto La Gioconda). Dalle anteprime, posso dire che la colorazione sia stata molto più curata rispetto a quanto accaduto con i suoi due predecessori. Le rubriche saranno, come sempre, ricche e interessanti. 
Insomma: collezionare Dylan Dog in questa nuova, colorata veste è quasi un obbligo.


Cosa aspettarsi da "L'uomo d'acciaio" [Scosse]

Ormai, un regista che si approccia ad un film di supereroi deve aver visto i tre Batman di Nolan. Attenzione, non succede solo in casa DC, ma anche in casa Marvel (chi ha visto l'indifendibile Amazing Spider Man o sa, a grandi linee, di cosa parlerà Iron Man 3, ha già capito). Una volta visti i tre  Batman di Nolan, i produttori dicono al regista <<Ora tu prendi il tuo personaggio, lo tingi di nero, lo incupisci, lo fai stare male e forse, fra sette o otto film, lo facciamo anche morire>>. Fondamentalmente, questo è il meccanismo su cui Nolan ha fatto forza (specie per il secondo e terzo capitolo), e gli è andata bene: la sua trilogia è veramente il miglior traguardo mai raggiunto dal cinema fumettistico. E questo succede non perchè Batman sia migliore di decine di altri supereroi, ma perchè Nolan è un bravo regista, in grado di gestire un budget elevato meglio di chiunque altro al mondo e di saper mettere una sapienza tecnica sopraffina al servizio di una storia efficace. Questo "giochino" è piaciuto a tutti, soprattutto a quei magnati che hanno notato come i critici più snob elogiassero per la prima volta delle opere con protagonista un supereroe. <<Allora, lo sapete che si fa?>>, hanno detto alla DC, <<Una volta che ha finito con Batman, prendiamo Nolan e gli diamo, che so, Superman!>>. 
Intanto, alla Marvel, cioè alla Disney: <<Il nostro The Avengers è uno dei film ad avere incassato di più nella storia del Cinema ed è anche candidato agli Oscar. Tuttavia, non pensate che sia troppo poco dark? Mi raccomando, i prossimi film su Spider Man e Iron Man facciamoli più cupi. Fateli soffrire questi supereroi, che almeno ci dedicano un articolo di novanta pagine sui Chaiers!>>. Nolan scrive il soggetto di un film su Superman, intitolato Man of Steel, ma rifiuta la regia; viene così passato al livello di produttore esecutivo. Ed è allora che viene contattato Zack Snyder.

Perchè preoccuparsi per il nuovo Superman?
Il motivo principale di ogni mio dubbio riguardante Man of Steel è legato proprio al suo regista, Zack Snyder. Per me, si potrebbe dedicare un'ora al giorno solo al parlare male di Zack Snyder, che per quanto mi riguarda poteva continuare a fare le pubblicità alle automobili. Non dico che non mi piace il suo cinema, perchè non credo che sia giusto parlare di cinema. Sucker Punch è la patinata bruttissima copia di The Ward di Carpenter, è un videogame maldestro costato cento milioni di dollari dove chi non capisce niente ha anche il coraggio di trovare aspetti positivi. E non salti fuori il discorso "tutto è soggettivo", perchè non è vero: i film di Snyder sono oggettivamente orrendi (salvo 300, che tutto sommato diverte e ha un paio di buone trovate, e Watchmen, perchè per chiunque sarebbe stata un'impresa difficile), e chi li ritiene "soggettivamente" buoni ha dei gusti di merda. Dunque, non mi interessa se L'uomo d'acciaio (titolo dignitoso, in quanto tradotto dall'inglese) sarà tratto da un soggetto di Nolan, prodotto da Nolan e supervisionato da Nolan: è comunque frutto del lavoro di un mediocre regista, abituato a incontrare il favore di un pubblico (composto prevalentemente da nerd di infima categoria) solo perchè ha fatto film dove dei tartarugati se le danno di santa ragione o dove le fiche sparano a qualunque cosa si muova. Insomma, non è Michael Bay (autore del "tutto brutto"), ma neanche un Del Toro (che si era proposto come regista del progetto) o un Whedon.

Perchè non partire prevenuti per il nuovo Superman?
1) Se davvero l'influenza di Nolan si fa sentire, Snyder riuscirà a dare un freno alle sue solite minchiate, e il film potrà risultare accettabile. 
2) Il cast è ottimo (a parte Russell Crowe, che purtroppo deve mangiare) e  Henry Cavill potrebbe essere il miglior Superman di sempre (anche perchè, visti i precedenti...). 
3) La colonna sonora è del maestro Hans Zimmer. So che a tanti non gliene frega nulla, ma a me sì. 

Ne riparleremo il 19 giugno...

domenica 17 febbraio 2013

[Recensione] Zero Dark Thirty

Film tosto.
Film lungo.
Film-documentario.
Film definitivo.
Scrivo "definitivo" perchè nessuno, dopo lo Zero Dark Thirty della Bigelow, potrà più girare un film sull'Iraq e più in generale sul terrorismo, per il semplice fatto che sarà inutile. C'è già tutto qui dentro: dall'11 settembre alla morte di Osama Bin Laden, il film racconta i retroscena, le indagini e le sofferenze di chi ha pazientemente seguito ogni pista che potesse portare alla morte del leader di al-Qaida. 
Semplice. Cioè, si fa per dire. A parte le polemiche che ha scatenato negli Stati Uniti (basta sapere un minimo di inglese e girellare sul web per leggerne di tutti i colori), a parte la bravura di Jessica Chastain (la ricorderanno i fortunati che hanno amato The Tree Of Life di Malick) e del resto del cast (largamente sconosciuto a noi europei), a parte la perizia proffesionale della Bigelow (tanta camera a mano, come e se non di più che nel già splendido e pluripremiato The Hurt Locker), Zero Dark Thirty ha un pregio che pochissimi film "d'inchiesta" hanno: è crudo, è realistico oltre misura in ogni fotogramma, come è giusto che sia. L'unico interesse della Bigelow (che la distingue da tanti registucoli nostri connazionali finanziati da destra e da sinistra) non è mettere la storia al servizio delle proprie idee, ma mettere ciò che le riesce fare meglio (il cinema) al servizio della Storia, quella vera, "nuda e cruda". Il montaggio è frenetico e le immagini quasi "nervose" (soprattutto nello spettacolare blitz finale), ma la trama è incredibilmente lineare, limpida. Non è un thriller, non è un film di guerra, nè tantomeno un biopic su una brava agente della CIA: Zero Dark Thirty è Zero Dark Thirty. E come ogni film della Bigelow, o lo si ama o lo si disprezza. 
Io, sinceramente, l'ho amato fino in fondo.

venerdì 15 febbraio 2013

Inverno bonelliano [Pt. 3]

LE STORIE #5
"IL LATO OSCURO DELLA LUNA"
testi: Bilotta/ disegni: Mosca
114 pag., BN, 3,50 €

★★★★★

Oddio, parlare del nuovo numero de Le Storie è piuttosto difficile. O meglio, è difficile stendere, in poche righe, un sunto di una trama insolita e non semplice. Mi basti dire che la vicenda di cui è protagonista Lloyd, un astronauta in viaggio verso il nostro satellite, non ha niente a che spartire con la fantascienza "di azione" di certi fumetti (uno a caso è proprio Il lato oscuro della Luna, titolo del Martin Mystère numero 239), bensì con quella di taglio più psicologico. L'idea di base (una scampagnata cosmica diviene un cosmico incubo) non brilla per originalità, ma è il modo in cui essa viene affrontata a rendere Il lato oscuro della Luna un albo bellissimo, raffinato sia per la sua scrittura che per i suoi disegni (il lavoro di Mosca è impeccabile come è stato quello di Accardi, sempre sulle pagine de Le Storie). La Storia bonelli del mese ha fatto di nuovo centro? Dispiacerà ai "coltissimi" lettori che leggono solo fumetti comprati in sontuose librerie, ma sì, la Bonelli ha fatto di nuovo centro, confermando per l'ennesima volta che non esiste un fumetto "alto" e un fumetto "basso", ma solo un buon fumetto e un cattivo fumetto. E Il lato oscuro della Luna, è un ottimo fumetto.

MAXI DYLAN DOG #18
"EFFETTI SPECIALI/ IL PROCESSO/ LE SCARPE DEL MORTO"
testi: Cavalletto, De Nardo, Marzano/ disegni: Piccatto
292 pag., BN, 6,20 €
★★★★

Non nego che dal 2010 attendo con trepidazione il Maxi DD invernale, più che altro per la curiosità di sapere chi sarà l'unico e solo disegnatore del "mattone" bonelliano. Chi ha riletto il mio blog, avrà capito che non ho particolare simpatia per lo stile di Piccatto, soprattutto per il "Piccatto 2.0", e non è che abbia propriamente gioito quando ho appreso che lo one-man-show del Maxi 2013 fosse lui. Ma, si sa, il fumetto è composto da due cose: parole e disegni, e se le parole sono buone, non dovranno necessariamente essere accompagnate da buoni disegni (lo dico consapevole del fatto che Piccatto ha illustrato alcune delle mie storie preferite di sempre). E per fortuna, questo Maxi corrisponde alla linea di pensiero esposta sopra: le tre storie sono bellissime, e nel loro insieme rappresentano il migliore degli ultimi Maxi invernali. Un super-albo da comprare solo per il sosia di Kurt Russell (leggete Effetti speciali e capirete). Applausi al trio Cavalletto, De Nardo, Marzano.

MARTIN MYSTERE #325
"VOCI DAL PASSATO"
testi: Castelli/ disegni: Camagni
164 pag., BN, 5 €
★★★★

Sarà che è il creatore del mio personaggio bonelli preferito, ma a me l'Alfredo Castelli sceneggiatore piace da impazzire; anche se, come molti grandi di qualsiasi arte, non sempre fa centro. Ultimamente, mi ero lamentato per un generale abbassamento di qualità delle storie castelliane, ma Voci dal passato mi ha ufficialmente zittito. Al di là di alcune pagine sull'infanzia di Martin mai svelate prima, Castelli mette il suo personaggio sulle orme di antiche dottrine e scoperte collegate al suono e alla sua registrazione. E come dico sempre, c'è più "robba" in 160 pagine di Castelli che in un'intera stagione di Voyager...

[Recensione] Die Hard- Un buon giorno per morire

Se Die Hard- Un buon giorno per morire è da un lato un action-movie a sfondo spionistico difettosissimo nei contenuti e nei personaggi (cattivi mentalmente ritardati, un McLane Jr. inutile "quanto un buco di culo sul gomito" e agenti CIA che sembrano più adatti al "tombolone" del circolo ARCI che alla vita da uomini d'azione), dall'altro vanta un attore protagonista del calibro di Bruce Willis, che da bravo vecchio saggio sa benissimo darsi un freno nelle sequenze di azione più dure ed estreme e ha già annunciato che il sesto capitolo della serie sarà l'ultimo. Ed è qui che sta la "serietà" di un franchising come Die Hard, nel fatto che non diventerà mai un film su dei palestrati rincoglioniti che continuano a darsele di santa ragione anche da vecchi (e chi ha visto I mercenari sa bene di cosa parlo). E poi, scusate, prima di regalare sette e passa euro a quell'infame di Vin Diesel che tira i freni a mano nel nuovo Fast and Furious 6, sarà meglio darli a Bruce Willis, che almeno è un attore, un professionista, uno che, a distanza di venticinque anni esatti, sa ancora vestire i panni di John McLane con classe e disinvoltura. Insomma, Die Hard- Un buon giorno per morire non rimarrà come il miglior film di azione dell'anno, ma vanta un paio di sequenze ottime (l'inseguimento in macchina a Mosca e lo scontro nella sala da ballo abbandonata) a livello di regia. E qui esaurisco quel poco di buono che c'era da dire sul film.
I veri problemi nascono quando si analizzano la trama e i contenuti. Io non so se il regista John Moore (già dietro la macchina da presa in Max Payne) e Skip Woods (lo sceneggiatore) abbiano mai letto un giornale dal 1989 ad oggi. Viene da chiederselo, vista la "nostalgia di Guerra Fredda" imperante nel quinto Die Hard. Da come vengono rappresentati i cattivi a come si comportano i buoni, nel film si respira l'oleosa puzza del peggior cinema anni ottanta: aspetto già di per sè comico, visto che il primo capitolo della saga, Trappola di cristallo, irruppe nel 1988 in tutto il mondo come un action-movie puro ma innovativo- sia nella forma che nei contenuti -rispetto alle varie "rambate" commissionate dai peggiori presidenti U.S.A. di sempre. Trovo ridicolo che l'unico modo per far infuriare un vecchio ma sempre efficace Bruce Willis/ John McLane sia dirgli, con marcato accento sovietico, <<Reagan è morto, americano di merda!>>: battute di questo livello sarebbero risultate di cattivo gusto venticinque anni fa; perchè, allora, riproporle oggi? Moore poteva approfittarne e mostrare la Russia di oggi, quella della mafia, dell'oligarchia, e invece no: le uniche cose che gli interessano della Russia di Putin sono un paio di discoteche frequentate dai Ceceni, un tassista che canta Frank Sinatra e idolatra gli States e le automobili di lusso rubate per tutto il film (i due McLane rubano una Maybach con la facilità con cui un quattordicenne scippa una vecchietta). E poi, tanto per non farsi mancare niente, il finale del film è ambientato a Chernobyl, dentro la vecchia centrale. Addirittura, McLane Jr. tenta anche un discorso a sfondo sociale in questa scena, risultando molto poco credibile ("credibile" è ben più grave di "irreale"). Dulcis in fundo, il vero cattivo del film è l'uomo che, nel 1986, aveva causato di proposito l'incidente alla centrale nucleare, e i McLane devono farlo fuori a tutti i costi. Ci riescono, demolendo l'ex-centrale nucleare (il particolare della stella con falce e martello avvolta dalle fiamme sembra uscito da filmati di propaganda del senatore McCarthy). Padre e figlio si allontanano da Chernobyl con il seguente scambio di battute: 

MC LANE Sr.- Non è che ora ci cresce un terzo braccio?
MC LANE Jr.- Naaa... al massimo perdi i capelli! 

Ora, questa è una foto di uno dei molti bambini "figli di Chernobyl", uno di quelli a cui i capelli, purtroppo, non potranno mai nascere.

Io ne manderei una copia a John Moore.



martedì 12 febbraio 2013

Cosa aspettarsi dal "Godzilla" di Edwards [Scosse]


Sebbene la data di uscita fissata sia maggio 2014, il Godzilla diretto da Gareth Edwards e prodotto dalla Legendary Pictures è uno dei film di intrattenimento più attesi. Annunciato dallo stesso Edwards nel corso del San Diego Comicon, ha repentinamente avviato un lungo processo di previsioni, dibattiti e ipotesi. Basta fare una visitina su YouTube per osservare quanti fake trailers sono stati realizzati, così come sono fioccati, nei blog o nei forum specializzati, disegni, bozzetti e addirittura modellini ne potete ammirare uno qua sopra) riguardanti il lucertolone più famoso di sempre. E anche il 2014 non è un anno casuale: infatti, il primo film di Honda risale al 1954, e dunque il remake finirà per essere un "regalo" dei sessant'anni del kaiju

Sorgono spontanee molte domande. La prima è: il Godzilla di Edwards di quale film sarà il remake? A giudicare dall'unica locandina ufficiale rilasciata attualmente e da alcune "voci di corridoio", Edwards punta ad un congiungimento fra la spettacolarità muscolosa hollywoodiana e la tradizione cinematograficamente "antica" dei kaiju-movies. Questo è già un punto a suo favore, visto che basta andare indietro di appena quindici anni per imbattersi nel Godzilla di Emmerich, che non si limita ad essere uno dei peggiori remake di sempre, ma assurge al rango di zozzeria paradigmatica del blockbuster americano anni '90. Non conosco il cinema di Gareth Edwards- anche se tutti mi hanno parlato benissimo di Monsters (2010) -ma sono sicuro che non potrà fare un film peggiore di quello di Emmerich. Quindi, almeno per quanto riguarda la regia e la produzione, si può nutrire qualche speranza.
La seconda domanda è più complicata: ha senso il kaiju-movie, inteso come cinema di mostri? Oramai siamo abituati ad ogni tipo di mostruosità; la tecnologia non finisce mai di stupire e di sfornare nuovi mostri; abbiamo attraversato la fase in cui "il mostro" era inteso come "mostro sociale", ma anche quella in cui il "mostro" diventava buono (vedi Tim Burton) e l'essere umano cattivo. Se c'è una cosa da ammirare nei kaiju-movies è che il concetto di "mostro buono" è del tutto assente, così come viene abolita qualsiasi altra stronzata gotico-romantica di stampo occidentale: il mostro è cattivo perchè è un mostro, e il mostro va abbattuto con qualsiasi mezzo (se poi il mezzo sarà una bomba all'idrogeno, meglio). Coloro che si rivoltano contro Godzilla, King Kong e miriadi di altri kaiju non sono eroici militari super-addestrati e accompagnati da una bionda platinata, ma persone semplici. Esistono poi i film in cui Godizilla risulta buono per il solo motivo che deve vedersela con un mostro più cattivo di lui: in quel caso, la popolazione terrestre passa in secondo piano o riveste comunque un ruolo minore all'interno della storia. E visto che Godzilla è figlio del suo tempo e del suo paese (il Giappone) non è stato, non è e non sarà mai degno in nessun modo di essere al centro di un milionario remake hollywoodiano, per quanto i produttori possano garantire il rispetto per la tradizione nipponica. E questo un po' mi disturba, ma non scaccia la mia curiosità per il Godzilla di Gareth Edwards; e non mi impedisce di ingannare l'attesa con qualche classico kaiju-movie di annata.

IL MIGLIOR GODZILLA
Tre dei 29 film sul lucertolone

GODZILLA (I. Honda, 1954)
Capostipite della fortunata serie, è una vera e propria pietra miliare del cinema di mostri, firmata da uno dei più grandi maestri del cinema giapponese. Barbaramente rifatto, nel 1998, da Roland Emmerich.








GODZILLA-FURIA DI MOSTRI (Y. Banno, 1971)
Undicesimo film della saga, è uno dei migliori: ricco di nuove idee (è l'unico dei ventinove film dove Godzilla vola), punta sull'aspetto più fantascientifico del personaggio (il cattivo è l'alieno Hedorah) e azzera la continuity voluta fino a quel momento da Honda. Il povero Banno, fu cacciato dalla Toho visto che il film non piacque molto ai fan della serie.






GODZILLA CONTRO KING GHIDORAH (K. Omori, 1991)
Circolato in Italia solo in home-video, è uno degli ultimi quattro film sul lucertolone distribuiti nel nostro paese (ce ne mancano nove!), il terzo prodotto nell'era Heisei e il diciottesimo della saga. Incrocia il lato sci-fi con l'horror, proponendo un cattivissimo e gigantesco drago a tre teste come uno dei migliori kaiju di tutti i tempi. 







E SE PROPRIO VI PIACCIONO I MOSTRI...

FRANKENSTEIN ALLA CONQUISTA DELLA TERRA (I. Honda, 1965)
Dimenticate il Frankenstein di Shelley o quello più divertente di Brooks, dimenticatene ogni versione cinematografica americana o europea; prendetelo, datelo in mano a Honda e guardatelo scontrarsi contro Baragon. Un duello che vale tutto il film.







ATTENZIONE! ARRIVANO I MOSTRI (S. Tanaka, 1966)
Mentre Honda puntava tutto su Godzilla, Frankenstein e King Kong, Tanaka mette in disparte qualunque aspetto umano e fa salvare il mondo allo spaventoso Gamera: lo fa con un film registicamente impeccabile (vista anche l'epoca).







IL GIGANTE DELL'HIMALAYA (H. M. Hua, 1978)
Dal genio degli Shaw Brothers, nasce una spudorata copia cinese del King Kong anni '70, che tuttavia risulta essere molto meglio dell'originale. L'idea di unire lo scimmione alla figura dell' "uomo delle nevi" è notevole. E anche la trasferta ad Hong Kong risulta simpatica. 
 


lunedì 11 febbraio 2013

Dimenticare Sanremo grazie all'elettronica russa [Suggestioni uditive]

La musica elettronica è importante, anche se nessuno lo ammetterà mai.
Sono nato nel 1989, mi sento molto più figlio dell'elettronica che dei Queen. Per anni, non ho toccato il genere, poi, verso i diciassette, mi ci sono avvicinato, e ho capito che questo era l'unico tipo di musica ad essere ancora in grado di "andare oltre", di rinnovarsi, di suscitare qualcosa di profondo e innovativo. Lasciamo perdere quei grezzi luoghi comuni che affollano le bacheche di Facebook in cui vediamo la foto di un qualche d.j. e la scritta <<Lui non suona, mette solo i dischi>>. Anche ammesso che sia vero, dov'è il problema? Il problema, semplicemente, non esiste. E chi crea e/o condivide questi link è o un musicista frustrato (perchè magari invidioso di un amico che passa le serate a "mettere dischi" guadagnando più di una pinta di pessima birra) o un ascoltatore meno colto di altri.
Frozen Scenes (2012)
Logo di Neotnas














Così, mentre il panorama musicale si snoda fra un laconico "aspettando Sanremo" e "che schifo Sanremo dove non viene ospitato Vasco Brondi!", il mio consiglio è: navigare su internet, alla ricerca di ottima musica elettronica (su Last.fm o Soundcloud ne trovate in abbondanza). Troverete di tutto, per tutti i gusti. Da parte mia, segnalo calorosamente Neotnas, d.j. russo che ho eletto mio unico ascolto in questi giorni di festival. 
Questo ragazzo, della cui opera avevo letto solo una frettolosa recensione su una webzine, propone una minimal sognante e innovativa, oltre a portare avanti un'operazione culturale di raffinata stanzialità. Infatti, Neotnas è nato a Chelyabinsk, lontano dall'Italia e a 1500 chilometri da Mosca: questa cittadina si trova in una delle zone più inquinate al mondo; infatti, negli immediati dintorni, sono stati effettuati per anni test nucleari. Questo giovane ha preso il suo computer e ha composto pezzi elettronici di meravigliosa alienazione radioattiva: e tale "radioattività" sonora è udibilissima nel suo ultimo album, Frozen Scenes (Poem, 2012, acquistabile qui), ma era già abbondantemente presente nell'esordio capolavoro Milan E.P. (Deeplimit, 2009, acquistabile qui). Perchè Milan? Se Milan E.P. fosse un dischetto sfornato da qualche gruppetto di "zingarelli" indie, il titolo rappresenterebbe un omaggio ad una metropoli che la band ha visitato e amato, nella miglior tradizione "fabiovoliana" dell'artista viaggiatore cosmopolita. E invece no: Neotnas ha chiamato il suo abum di esordio Milan E.P. proprio perchè non è mai stato a Milano, nè conta di andarci. Chissà, magari correrebbe il rischio di vedere una città diversa da quella "sognata" per la composizione della superba Milan
Copertina dell'esordio Milan E.P. (2009)

sabato 9 febbraio 2013

No Fast, No Furious [Ombre Elettriche]

Correva l'anno 2001, tristemente famoso per due motivi: l'attacco alle Twin Towers e l'uscita del primo Fast and Furious. Il mondo del Cinema accolse con sentimenti contrastanti l'arrivo di questo costoso blockbuster automobilistico, ma tutti commisero un errore fatale: ne parlarono come di una novità assoluta, manco fosse stata la prima volta che un regista portava sullo schermo il magico binomio "donne&motori". Ripensandoci oggi- specie dopo che ho avuto modo di vedere tutti e cinque i film del franchising e il trailer dell'imminente numero 6 -il primo Fast and Furious rimane quasi simpatico, e il secondo risulta essere il migliore della serie (ha una trama, non c'è Vin Diesel, c'è Eva Mendes), il resto è da buttare. Ciò che dico io è: chi ama i film sulle automobili (in inglese, chase movies) perchè deve abbrutirsi con una serie come quella di Fast and Furious? Non avverte il puzzo di preconfezionato? Non si domanda come mai tanti soldi vengano buttati per opere che hanno come unico scopo il mettere in mostra automobili tamarre e passere che potremmo vedere su un qualsiasi calendario? No, non se lo chiedono per un semplice motivo: i fan di Fast and Furious non solo non capiscono niente di cinema (aspetto che svelano nei giorni dell'anno in cui il loro kolossal sui freni a mano non passa in tv in prima serata), ma sono proprio meno intelligenti della media. 
La bruttezza gratuita di film come questi risede non solo in un valore quasi unicamente pubblicitario, ma anche nelle ripercussioni sociali che, a lungo andare, essi comportano: le edicole, dopo l'uscita di 2Fast 2Furious iniziarono a riempirsi di riviste dedicate al tuning, mentre le automobili dei grezzi figuri di periferia pullulavano di accessori e adesivi alquanto folkloristici. Ricordo ancora i sonori rombi sotto casa mia: credevo che il vicino muratore si fosse finalmente comprato la Maserati che tanto desiderava, e invece no. Era il figlio più grande, che, ispirato da Vin Diesel, aveva montato uno scarico da Boeing 747 sulla sua Renault Clio. Fino a qualche anno fa, invece, nei pressi di un noto paninaro del mio paese, si ritrovavano loschi figuri, che passavano la serata ad ascoltare hip-hop che avrebbe fatto rimpiangere la schiavitù al più ferreo abolizionista, ad ammirare piccole utilitarie illuminate più di un albero di natale e a comunicare in un linguaggio tutto loro. Conoscevo alcuni di questi e mi chiesero addirittura di disegnare il logo per un famigerato "D-Generation Tuning Club". La crisi, per fortuna, è stata provvidenziale in questo: personaggi simili sono spariti, e con loro questi aborti di falso carbonio. 
Resta il problema che la Universal continuerà a far uscire Fast and Furious, e che la gente continuerà ad andarlo a vedere, tessendone le lodi e parlando de "l'unico film sulle macchine della storia". Bene, per coloro che ancora hanno un po' di sale in zucca, ho preparato una classifica sui migliori chase movies della storia. Buona lettura e, spero, buona visione.

I CAPOLAVORI

INTERCEPTOR (G. Miller, 1978)
Film australiano, fortunato capostipite della saga Mad Max, rappresenta l'esordio di Mel Gibson come protagonista. Scritto bene, girato da Dio, è il miglior film sui motori della Storia. Inimitabile.








FASTER, PUSSYCAT! KILL! KILL! (R. Meyer, 1965)
John Waters lo ha definito <<il miglior film della storia del cinema>>. Senza esagerazioni, è uno dei capolavori di Russ Meyer, nonchè un cult movie a tutto tondo. Tuttavia, anche se si limitasse al genere del film di motori, è una bibbia di idee. Geniale.







A PROVA DI MORTE (Q. Tarantino, 2007)
Il film che Tarantino stesso definisce "girato con la mano sinistra" è in realtà il miglior chase-movie degli ultimi vent'anni. Può contare su cast femminile straordinario, un Kurt Russell in splendida forma e una regia che non potrebbe essere ottenuta neanche a mettere insieme tutti e sei i Fast and Furious.








DA RIVALUTARE

CONVOY (S. Peckinpah, 1978)
Opera tarda di Peckinpah, trova forza in una regia eccellente, in un cast meraviglioso (Borgnine è un cattivo sceriffo formidabile) e in una grande colonna sonora. Tuttavia, anche chi ama il regista de Il mucchio selvaggio spesso se ne dimentica.








ROLLERCAR SESSANTA SECONDI E VAI (H. B. Halicki, 1974)
Cult-movie difficilmente reperibile, vanta alcune delle più belle scene di inseguimento automobilistico di sempre. La storia non è niente di speciale, ma ciò che le manca in dialoghi è compensato dal virtuosismo registico. Nel 2000, è stato approntato un inaffrontabile remake con Nicolas Cage e Angelina Jolie dal titolo Fuori in 60 secondi.






ZOZZA MARY, PAZZO GARY (J. Hough, 1974)
Girato nello stesso anno di Rollercoster, è un chase movie dalle forti tinte romantiche, mai banale o noioso. La coppia Fonda-George non ha nulla da invidiare a tanti esempi di cinema "alto". La Dodge Charger del 1969 replica del film, è una delle automobili più ricercate dai collezionisti fanatici di questa e altre pellicole.






MADE IN ITALY

AUTOSTOP ROSSO SANGUE (P. Festa Campanile, 1976)
Immaginate lo shock che può avere provocato un film come questo, partorito dalla mente di Festa Campanile, noto principalmente per le sue commedie leggere. Opera estrema, fuori dagli schemi, fu un successo all'estero, mentre riscosse poche attenzioni in Italia. Per giustizia divina, oggi da noi è introvabile in home video.








CANI ARRABBIATI (M. Bava, 1974)
Pur essendo solo in parte un chase movie, Cani Arrabbiati è uno dei migliori film di Bava, nonchè l'unico thriller da lui diretto. Il maestro dell'horror si muove splendidamente anche in ambienti nuovi e cinematograficamente inesplorati. Vedere per credere.







FORMULA 1- FEBBRE DELLA VELOCITA' (O. Fabbri, 1978)
Sebbene Ottavio Fabbri venga ricordato quasi esclusivamente per il film musicale Banana Repubblic (quello con Dalla e De Gregori), è da citare questo suo excursus nel mondo dei motori. Un excurus passato praticamente inosservato. Bella colonna sonora di Guido e Maurizio De Angelis.



venerdì 8 febbraio 2013

[Recensione] The Impossible

Vi ricordate Hereafter, film di Eastwood uscito due anni fa? Il primo quarto d'ora di film riguardava una bella "francesina" coinvolta nella tragedia dello tsunami thailandese nel 2004. Ora, prendete quel quarto d'ora, togliete la solitaria "francesina", mettete nei panni degli sventurati una bella famiglia di cinque biondi e costruiteci sopra un film "ispirato a una storia vera". Otterrete The Impossible, dramma post-catastrofico familiare ispirato all'incredibile "botta di culo" occorsa ad una famiglia spagnola in quei terribili giorni. 
La mia prima domanda è: visto che il film è una produzione spagnola (il regista è un certo Bayona) ispirata ad una storia vissuta da spagnoli, perchè si è sentito il bisogno di affidare il ruolo dei protagonisti a star del calibro di Ewan McGregor e Naomi Watts (qui bravissima e candidata all'Oscar)? Non è che, per caso, ad un pubblico medio non sarebbe mai interessato un film con cinque comuni mortali iberici come protagonisti (la Spagna non avrà il miglor cinema al mondo, ma vanta ottimi attori)? <<Meglio non rischiare>>, avrà detto il producer: e allora vada per una famiglia britannica (ma residente in Giappone) con babbo&mamma splendidi (e, in effetti, lo sono) e tre bimbi biondi che tanto piacciono a pubblicitari e vescovi. Nonostante una ricostruzione impeccabile (l'onda, i danni, le ferite, gli ospedali), The Impossible puzza di falso: puzza di falso la scena in cui a Ewan McGregor viene prestato il telefono (non una, ma ben due volte), puzza di falso l'eccessivo altruismo da parte del figlio dodicenne Lucas, puzza di falso il motore del camion che non si accende e che permette al padre di ricongiungersi al resto della sua famiglia. E un film simile, al contrario di molti, non può permettersi il lusso della falsità, per il semplice motivo che affronta una storia vera e tocca una realtà che ha coinvolto decine di migliaia di individui.
Puzza invece di terribilmente sgradevole e di gratuitamente classista il colletto bianco che, inviato dalla Zurich (perchè poi la Zurich?), porta i Bennett (questo il nome della famiglia di biondi) all'aeroporto, dove loro e solo loro vengono fatti accomodare su un comodissimo jet-privato che li scorterà fino a Singapore, dove a Maria (la Watts) saranno garantite- cito testualmente -"le migliori cure del continente". L'aereo decolla, sorvola i poveri morti di fame che purtroppo non lavorano per grandi compagnie in giro per il mondo (e che dovranno continuare a cercare le proprie famiglie sommerse dal fango e dalla sporcizia per chissà quanto tempo) e salva non solo cinque vite umane, ma un intero sistema familiare, basato su denaro e potere. Approfondimento psicologico dei personaggi in due ore e passa di film? Zero. Emerge solo che il babbo ama la mamma e che insieme amano i tre figli che a loro volta amano il babbo e la mamma. Fra i ringraziamenti nei titoli di coda, la CEI è misteriosamente assente. 

martedì 5 febbraio 2013

[Recensione] Flight

Whip (Denzel Washington) è un comandante aereo e un grandissimo pilota; le sue grandi passioni sono il bere e lo sniffare cocaina, hobby che "cozzano" un po' male col suo mestiere, anche se, a causa di un guasto meccanico durante un volo, Whip tenta un atterraggio disperato e salva la vita a novantasei passeggeri su centodue. Fino a qui, poteva trattarsi di un film a sè, e invece no. Flight prende il volo- almeno a livello cinematografico -proprio a partire dall'incidente. Racconta la battaglia legale (dunque pubblica) di Whip, alle prese con avvocati, dirigenti d'azienda, fanatici religiosi, giornalisti e pochi, pochissimi amici, e ne descrive la ben più difficile guerra personale: quella contro l'alcool. I personaggi di contorno sono pochi e scarsamente approfonditi: c'è una ragazza eroinomane, Nicole, che tenta di aiutare Whip senza troppo successo; c'è un figlio bietolone che nell'inverosimile, patetico e perbenista finale (zemeckisiano in tutto e per tutto) si tramuta in un moderno Henry James; c'è un fenomenale pusher che purtroppo si limita a prendere soldi e a svanire nel nulla.
Il punto è: funziona ancora un cinema così "morale"al giorno d'oggi? Secondo me, no. Che Zemeckis odiasse e trattasse come scarti sociali i drogati, gli alcolizzati e gli atei si sapeva, e un film  come Forrest Gump palesò tutte le ideologie del regista. L'America non ha bisogno di "cattivi ragazzi", all'America serve uno spirito puro, possibilmente sudista, timorato di Dio e rispettoso dei valori della famiglia. Whip è l'esatto opposto di Forrest, e a me non può che rimanere simpatico. Flight ha il valore positivo di occuparsi di un personaggio estremamente negativo, aspetto inusuale per il cinema puritano di Zemeckis. E su 139 minuti di film, Whip mi è simpatico fino al minuto 130: gli ultimi nove- che non racconto di certo qui -sono imbarazzanti quanto l'intero Cast Away. Spero che abbiano girato un finale alternativo verosimile (e di conseguenza cattivo) e che lo inseriranno come extra per il mercato home video. 
Ad ogni modo, sono contento che Zemeckis abbia abbandonato i terrificanti cartoni animati interpretati dai cloni di Tom Hanks e sia tornato alla classica pellicola "made in U.S.A.", piacevole, ben girata (scena dell'incidente da 10 e lode) e con un signor attore protagonista. Peccato però che sia ancora lontano da quell'Olimpo di grandi registi in cui talvolta viene erroneamente inserito.

domenica 3 febbraio 2013

[Recensione] Les Misérables

Les Misérables ha tutte le caratteristiche del film di merda: è inutilmente lungo, è noioso, è pieno di attori stereotipati, freddi e che non hanno nulla a che fare con i propri personaggi, ma soprattutto è un film dove si canta. Non esiste niente di peggio di un film cantato. Volete rovinare un film? Fate cantare gli attori. Ad ogni modo, almeno tre film musicali buoni ho avuto modo di vederli: Cantando sotto la pioggia, My Fair Lady e Sette spose per sette fratelli. Poi ho visto film cantati brutti, film cantati pessimi e, alla fine di tutto, ho visto Les Misérables
Hugh Jackman interpreta Jean Valjean come Vin Diesel interpreterebbe Padre Pio, la Hathaway è troppo bona e "perbene" per vestire i panni di Fantine e mal le si addice il ruolo (estremamente drammatico) di prostituta sbattuta a destra e a sinistra, sudicia e disperata. Per non parlare poi del gendarme Crowe, che ogni volta che canta fa rimpiangere allo spettatore uno stato di sordità permanente. 
E pensare che Tom Hooper, dopo aver diretto il meraviglioso Il discorso del Re, aveva annunciato alla stampa che il suo grande sogno sarebbe stato portare al cinema il famoso musical ispirato al romanzo di Hugo: purtroppo, c'è chi fa sogni sbagliati. E il sogno di Tom Hooper, purtroppo, si è concretizzato in un'opera da evitare come la peste.

sabato 2 febbraio 2013

La canzone di Janie [Trame]

PREMESSA

Sono stato quattro anni senza considerare minimamente questo racconto che scrissi nel 2008. Nel correggerlo, ho cercato di dargli una forma migliore e di renderlo, per tanti versi, meno "tamarro". Personalmente, lo ritengo un po' troppo "dannato" e romantico, ma alla fine è una storia rock & roll, pensata con musica rock & roll sparata ad alto volume e dedicata a chi, quando certe "ballatone" rock escono dalle casse di uno stereo, ancora si commuove. Buona lettura.

LA CANZONE DI JANIE

Sebbene volesse condividere le danze, Valentine non volle interrompere questa bellezza. Il suo bel corpo, aggraziato, si muoveva lentamente seguendo il ritmo. La sua innocenza era incantevole, la sua bellezza senza fiato. Valentine sapeva che si sarebbe incazzata con lui per il suo modo di fare furtivo: guardarla senza che lei lo sapesse. Ma il suo voyeurismo da ragazzino nel corpo di un adulto lo incoraggiava e non gliene importava delle conseguenze. Era solo per i suoi occhi dopotutto. I suo occhi scintillavano, ricordandogli l’oceano immenso che copriva il suo corpo formoso, e una patina di sudore risplendeva su di lei. Era troppo bella per essere vera.
Durante questo momento di pura fuga euforica, Valentine realizzò che c’era solo una donna in grado di essere amata dolcemente. I suoi occhi scintillarono. <<Potrebbe avermi sentito>>, pensò mentre si era girata verso di lui. Non volle rovinare l'atmosfera, solo divertirsi. Le sue labbra sottili sorrisero gentilmente. Poi la canzone iniziò.
Un attimo di terrore si manifestò in lui quando si accorse della canzone. Sudore freddo uscì dai suoi pori, tormentandolo. La sua visione era distorta. Respirare diventò difficoltoso, complicato. La disperazione attaccò e devastò ogni muscolo del suo corpo. Ancora peggio del dolore era la sua paura. L’ansia si impadronì quando la musica si levò alta dallo stereo.
Ogni cosa perse il suo naturale corso; i muri, i fiori, l’aria divennero surreali. Il volume restava alto, mentre la maggiore difficoltà era riuscire a muoversi. Doveva togliere il cd, ma i suoi piedi erano come blocchi. Non poteva più muoversi. Lei aveva la pistola puntata alla tempia.
Zak si svegliò coperto dal sudore, l’urlo fermo in gola. Le sei ore successive le passò in un coma da droga e alcool che lo lasciò come se stesse dormendo. Il sonno era ormai una comodità rara ed impossibile da realizzare senza assistenza. Non gliene fregava se dormire sei ore o sei minuti, l’incubo era sempre in agguato. Niente pillole soporifere o antidepressivi potevano risparmiarlo. Lui aveva scritto la canzone e per questo sarebbe stato sempre dannato. Con mani tremolanti, si tolse il sudore e passò le dita sulle lenzuola di satin. I suoi bracciali d’oro e d’argento titillarono insieme. Rotolarono dalla sua parte, il suo sguardo fisso sulla sveglia sopra il comodino nero con un frigorifero costruito alla sua base. Non gli importava che ora fosse; il tempo era il denaro degli altri. Vicino all’orologio c’era qualcosa di molto più importante del tempo o dei soldi. Lentamente si sedette. Gli occhi torturati scrutarono il posacenere nero di marmo, cercando preziosi avanzi di cipria. C’erano invece cerini bruciati, sigarette, ma niente droga. Non fa niente. Poteva sempre procurarsela. Seduto alla base del letto, Zak cercò in basso e aprì il comodino e il frigo. Dentro c’erano delle Bud, soda, e due bottiglie di Dom Perignon. Ne prese una gelida, bevendola in un sorso. Dietro di lui vecchi dischi, finiti più di un mese prima. L’album era al mixaggio, se a Zak piaceva ciò che sentiva, approvava e poi il disco sarebbe rilasciato come in programma. Sennò, invece, dovevano remixare tutto finché non approvava. Così, dopo, a che cazzo sarebbe servito? Avrebbero rimandato il più possibile prima di riuscire finalmente a rialzarsi.
Peggio della sua camera, c’era il bagno. Un disastro. Creme, vestiti, sporcizia e biancheria dappertutto. Usava il radar per cercare la tazza, trovava la porcellana, combatteva l’urgenza di vomitare, e trovava se stesso. Rientrò in bagno, non sentendosi umano, bensì un robot vestito di carne umana. C’era un lieve dolore agli addominali che cresceva, ma vi era abituato. Questo, come molti altri difetti nella sua salute, poteva essere attribuito al suo eccessivo stile di vita. Dietro l’alta gioielleria, Zak vestiva semplici calzoncini. Inciampò sopra il comò, togliendo un paio di pantaloni in pelle nera fatti su misura, e fece per cambiarsi. Trovò un kimono in seta viola scuro appeso sull’armadio e lo indossò.
In un cassetto c’era un grammo di cocaina dentro una fiala. Se la sistemò sulla lunga unghia della mano destra, e quel tormentato artista tirò su otto esplosioni dell’aspirina del rock. Il kimono sembrava freddo contro la sua calda carne. Si meravigliò se fosse febbricitante e concluse che lo era. Era sempre di corsa, con una febbre continua. Era così, sicuramente, finché aveva le sue cose da fare. Finì la birra, tossì e sputacchiò in direzione del cestino, sempre pieno di robaccia. Lo sguardo andò allo specchio: era talmente indebolito che non si riconobbe. Certo, i lunghi capelli biondi e i tatuaggi gliene davano l’aria, ma si vide lo stesso così fragile. Zak sembrava uno di quei tipi sempre pronti per un ricovero in ospedale. La sua bella faccia era blu, smorta, senza espressione. Una barbaccia copriva il mento e i suoi occhi smeraldo apparivano due gemme autentiche, preziose, di pura bigiotteria.
Il concerto durò oltre due ore di feroce elettricità.
Dopo l’ultimo pezzo, era tempo di festeggiare. Zak si divertì con due troie insaziabili in hotel. Nell’intimità del bagno si iniettò dell’eroina. Non abbastanza per farlo dormire, ma neanche abbastanza per farlo sballare. Le due troie lo fecero sentire solo meglio. Dopo essersi tolto i jeans marroni, raggiunse le donne nude, e così la rivalità iniziò. La droga non gli fece ricordare molto, ma Zak ricordò un Ren McCormack ubriaco che camminava lungo la camera d’hotel. Il batterista aveva sbagliato stanza, scambiandola per la sua. E, secondo i principi dello spirito goliardico, Zak gli offrì una ragazza. Ren declinò, aggiungendo che doveva trovare se stesso, e se ne andò. Il triangolo continuò senza intoppi. Poco dopo bussarono alla porta. Pensando che fosse Ren, gli disse di entrare. Ad aspettare dietro la porta c’era Janie. Aveva preso il primo treno per stare con lui. Successe un macello. La ragazza scoppiò in uno scatto d’ira, e questo fu l’inizio della loro fine.
Zak doveva rompere con il passato. Il suo ginocchio sinistro scricchiolò forte e sistemò la sua gamba. Cercò il telefono. Schiacciò un bottone. Il numero di Janie era registrato e sentì il telefono squillare. Nello stesso telefono erano registrati il numero del manager, della band, della casa discografica, e di molti spacciatori. Dopo che non ebbe ricevuto nessuna risposta da parte di Janie, schiacciò un altro pulsante. I suoi braccialetti tintinnarono insieme e dopo pochi secondi ricevette una risposta.
<<Si?>>, rispose scocciata una voce afona.
<<Sono io...il Cigno>>, disse ingoiando cocaina direttamente dalla gola
<<Il mio uomo, Zak!>> sovvenne la voce di Andrea, con fare quasi pubblicitario, neanche fosse una segreteria telefonica.
<<Che posso fare per te?>>
<<Cocaina ed eroina, subito...>>
<<Nessun problema! Ricordi cosa feci per te la scorsa notte?>>
<<Sì>>, mentì.
<<Sei in debito con me di tre conti per questa merda, amico>>, volle ricordare lo spacciatore, in caso che la memoria del cliente avesse fatto cilecca. Poi proseguì.
<<Sono sicuro che avrò ciò che manca. Se non li troverò, tu non avrai la roba. Comunque tranquillo...>>, disse ancora Andrea, come se stesse facendo un favore a Zak.
<<Spero che tu muoia>>, pensò Zak tra sé e sé.
Poi accese una sigaretta e prese un’altra birra. La cenere si consumò lentamente. Il secchio della spazzatura strabordò di schiuma rosa fino al buco. Lui lo guardò, divertito, e camminò verso le tende scure aprendole e facendo entrare il sole nella camera. Fanculo annunciò, con il dito medio rivolto al cielo. La vista dal suo balcone era ampia, ma molto spesso Zak chiudeva le tende non volendo far parte del mondo. Era salvo, nel suo appartamento. Contro un muro lontano, nascosto nell’angolo, c’era uno Steinway d'epoca. Spese molto tempo su quel bellissimo strumento, e anche se non lo suonava, il piano gli dava lo stimolo. Era uno strumento di precisione e grazia. A fianco del piano, posate comodamente, c’erano una dozzina di chitarre: principalmente si trattava di Gibson Les Paul, Fender Stratocaster, e Fender Telecaster. Le chitarre che teneva nell’appartamento erano una di quelle cose di cui gli importava veramente. Lo spacciatore suonò, svegliando Zak dai suoi pensieri. Andò al citofono e schiacciò il bottone per farlo entrare. Pochi minuti dopo, Andrea era all’interno dell’appartamento. Dozzine di dischi d’oro e di platino decoravano il muro. Ore e anni a programmare, scrivere, registrare, perfino lottare. Il suo modo di comporre era dovuto ai suoi dolori interni, a quelle lente canzoni blues simili al suo stile di vita stentato. Queste erano le canzoni delle quali era molto orgoglioso e credeva che potessero resistere al trascorrere del tempo. Le canzoni veloci, molto hard rock, spesso avevano un piccolo significato o avevano dei significati minori. Sfortunatamente, i premi non erano premi senza Janie. Zak si scusò un attimo e andò in bagno. Nascosto, al sicuro, c’era un altro disco di platino. Tolse il disco dal muro, fece la combinazione, e aprì la cassaforte. Dentro c’erano gioielli, documenti, oltre 40.000 euro in contanti, una pipetta, e una rivoltella carica. Prese alcuni rotoli da duecento e tornò in salotto lasciando la cassaforte chiusa, ma senza combinazione. Andrea era seduto sulla poltrona di pelle, i piedi sopra il tavolino da caffè in marmo, guardando in direzione dei suoi pantaloni sudati e calato in una felpa con su scritte parole totalmente prive di senso. Si aiutò con un’altra birra.
<<Quant’è il totale?>>
<<Inclusa la scorsa notte, sono duemilaseicento>>, rispose lo spacciatore giocando con la cinta.
Zak glieli diede e mise il resto nei pantaloni. Giudicando lo sguardo sulla faccia, l'avido ospite capì che voleva rimanere solo e se ne andò.
<<Chiamami, se ti serve altro>>, sentenziò Andrea prima di lasciare l’appartamento.
Nel momento in cui la porta si richiuse, la testa di Zak velocemente entrò in uno stato di sovra eccitazione, ma il suo corpo si rifiutò di muoversi. Aveva la droga in mano, ma gli serviva una siringa, allora tornò indietro nella camera da letto. Qualcosa nel muro della cassaforte attrasse l’attenzione dei suoi occhi, molto più potente della sua dipendenza. Camminò verso la cassaforte e lasciò la porta aperta. Dentro c’era un album che conteneva preziosi ricordi. Sistemò la droga sul tavolino da notte e scivolò sul letto. Catturati nelle foto, c’erano immagini e sentimenti così intensi che lo portarono ad uno stato di eccitazione come il suicidio. Janie gli poneva sempre sfide intellettuali, mentre lo stimolava sessualmente. Lo trattava come un figlio quando era malato, e ciò avveniva spesso. Gli donava amore, un amore che lui spesso tentava di evitare. Ma la sua bellezza era oggetto di ogni desiderio; quando lei era con Zak, faceva di tutto per perderla.
Girò la seconda pagina. Non sapeva, a quel punto, quante volte si fosse masturbato guardando quelle foto. Molti giorni. Era solo una foto che gli fece quando furono in vacanza a Parigi. Nella foto, il vento gli smuoveva i capelli dalla faccia e lei rideva. Dietro di lei c’era il Giardino del Lussemburgo, dove avevano passato la maggior parte delle due settimane. Era una classica foto da turisti, ma c’era il suo sorriso. Era così lontano dal dolore. Zak avrebbe fatto di tutto per riavere quel sorriso, quelle labbra, quel corpo, quell'esperienza.
Si sbottonò i pantaloni di pelle. Prima di iniziare, afferrò una bottiglia di Dom Perignon, la aprì e si fece una lunga sorsata. Non ne fece uscire neanche una goccia.
Sorseggiò più profondamente dalla bottiglia, guardò l’album di foto e vide che era troppo corto, evitò accuratamente l’ultima pagina. Raramente guardava l’ultima pagina. Come sempre, tornava indietro di due pagine. Con la bottiglia per tre quarti vuota, si abbassò i pantaloni fin sotto le ginocchia e versò il rimanente champagne sui suoi palmi. Questo era parte del rituale. L'ottimo champagne era qualcosa che lui ed Janie dividevano spesso. Poteva ancora dividerlo con lei. Non appena resistette alla sua bagnata erezione, i suoi pensieri scivolarono via. Era durante una delle loro ultime cene che lei gli disse qualcosa che lo ispirò a scrivere una delle sue più belle canzoni. <<Non posso vivere con te e non posso vivere senza di te>>, poteva sentirlo come fosse ieri. Le parole fluirono veloci come non mai. Zak concluse che quella era la spiegazione di tutto ciò che accadde fra i due. La canzone non era una scusa, ma una postilla della loro storia. Era la sincerità musicale che vendette oltre trecentomila copie in Italia, scalò le vette delle classiche di vendita e pose la Pozzo Rotondo Productions sul tetto delle case produttrici indipendenti. Offrì a Janie anche metà dei ricavi (perché senza di lei non ci sarebbe stata la canzone). Ella rifiutò educatamente. Quando il fortunatissimo tour arrivò a Milano, Zak volle disperatamente vederla. Non gliene importava niente di nulla e nessuno: avrebbe fatto di tutto per lei tranne farla andare via dalla sua vita.
La chiamò una dozzina di volte, le lasciò messaggi sulla segreteria telefonica, ma la ragazza non si fece mai vedere. Dopo lo spettacolo, Zak si meravigliava del fatto che non avrebbe commesso più lo stesso errore. Si presentò rapidamente, si cambiò con abiti asciutti, evitò di andare nel backstage. Lui e il suo autista si diressero all’appartamento di Janie, la chiamò con il cellulare quando era già sotto l’appartamento. Ancora il messaggio registrato.
<<Spero che tu sia in casa. Sono sotto le scale e, anche se dovrò spaccare la porta per rivederti, lo farò. Se stai chiamando i poliziotti, bene, fallo ora.. non mi aspetto nulla da te. Non mi merito niente da te…Fanculo, non so ancora cosa sto dicendo, se non che mi prenderò cura di te. Le parole non possono guarire ciò che ho fatto, ma il passato è andato...ho realmente bisogno di vedere ancora la tua faccia>>, spiegò Zak dopo il segnale acustico. Le parole echeggiarono nella sua testa, domandandosi se poteva dirle in maniera diversa. Era troppo tardi, pensò, mentre era già dentro il palazzo. Questa era una delle rare occasioni in cui dopo un concerto era sobrio. Come arrivò davanti all’ascensore, sentì una musica familiare. Si avvicinò alla porta e sentì il volume della musica crescere. Dopo, le sue parole divennero confuse e incontrollabili, mentre uno sparo echeggiò lungo il corridoio. Corse all’interno dell’appartamento, spalle basse, e con temerarietà abbatté la robusta porta di noce. Trovò Janie sul sofà, coperta di sangue, con gran parte della testa spiaccicata sul muro dietro di lei. Su un piccolo tavolo in legno trovò una penna a sfera e tante palline di carte stropicciate. Come poteva essere successo? Devastato, camminò lentamente verso lo stereo. Il singolo maledetto era stato programmato per essere ripetuto. Si domandò quante volte ella aveva ascoltato la canzone prima di spararsi. Dopo notò che a fianco del portatile c’era uno scritto. Numero uno con una pallottola, lo scritto chiazzato di rosso letto, pensò. Sconvolto e confuso; le sue lacrime scesero liberamente. Zak urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Era come se qualcuno avesse liberato un animale selvaggio. L’acuto rischiò di rompere i vetri. L’emicrania pulsava nelle sue tempie, e la sua intera testa stava per scoppiare. Che lei si sia uccisa perché avevano fallito o perché lui non voleva lasciarla? Era la canzone, una delle poche cose create autonomamente, che la portò a fare questo? Cos’era realmente successo? Ma subito un altro pensiero gli uscì dalla mente. Rimosse la pistola dalla sua mano e se la puntò alla tempia.
L’avrebbe raggiunta.
Era scarica. Janie sapeva che le sarebbe bastato un solo proiettile.
Zak ruppe ogni legame con quell’incubo e fu spinto in un altro ricordo. Riconobbe la stanza, familiare come la loro suite in luna di miele a Parigi, e si sentì come alleviato. Il letto era in disordine ed Janie stava sorridendo maliziosamente.
<<Che cosa hai voglia di fare?>>
<<Cosa?>>, gli rispose Zak, confuso.
Avevano bevuto quattro bottiglie di champagne e fatto l’amore due volte.
<<Che cosa hai voglia di fare?>> ribattè audacemente, portando Zak a rispondere.
Zak prese il vento in spalla e decise di giocare ancora. Se lei gli dava un opzione sul cosa vuoi fare, dopo certamente aveva un vantaggio sulla sua generosità.
<<Potresti anche farmi una proposta e dirmi che mi ami, oppure criticarmi.>>
La faccia di Janie espresse gioia. Le parole come amore erano le più dure da far uscire dalla bocca di Zak. Ancora una volta lei sorrise, come quando scendeva verso il suo girovita. Non ci volle molto per riportarlo alla realtà. Pochi minuti dopo, quando capì che era eccitato e stava per venire, Janie lo guardò e gli disse, con l’espressione più sexy che potesse trovare, <<Ti amo>>.
Zak venne con un lieve grugnito. Il ricordo potente gli diede qualcosa su cui lavorare, ma non ebbe piacere nell’orgasmo. Non ne ebbe mai più. Lancio l’album di foto e si distese sul letto, come morto, guardando il soffitto.
Per un secondo gli parve di sentire quella canzone ma era solo la sua fantasia. Il suo corpo stanco giacque sul letto per qualcosa che gli parve un anno. Alla fine le droghe sul tavolino erano reali. Ogni cosa di cui aveva bisogno era sul tavolo. Nascosta dietro la sveglia c’era una siringa e un cucchiaio annerito. C’era un bicchiere mezzo vuoto d’acqua e un accendino a fianco. Nel cucchiaio mischiò l’eroina e l’acqua, e dopo, usando l’accendino, riscaldò il fondo del cucchiaio fino a che la mistura si schiarì prima di metterci un piccolo pezzo di cotone nel cucchiaio stesso. Con mani tremolanti, aggiunse la cocaina e lo speedball era completo Essere una celebrità, non ti poteva permettere di avere le sue mani appassite con tracce troppo evidenti. Di solito si sparava la dose dietro l’avambraccio o sui piedi. Si iniettò anche sul collo, ma come si sentiva ora, non aveva il tempo di esitare. Come un esperto di agopuntura, fissò il suo avambraccio in cerca di una vena.
Fico pensò, e si esaminò le braccia con calma, mentre lo speedball iniziava il suo effetto.
Si gettò sul letto. Fra le droghe e le sue emozioni, si sentiva esausto. Era una buona cosa, le droghe ti rendono insensibile e lasciano scemare la pressione. Le droghe lo inondarono in fretta. Ci volle un po’ di tempo prima che riuscisse a realizzare che il suo braccio sinistro stesse toccando qualcosa. Lentamente rotolò. L’album di foto era aperto sull’ultima pagina. L’ultima pagina conteneva la foto dell’obitorio di Janie e una simpatica cartolina. Le lacrime che tratteneva sin da quel giorno cominciarono a scendere fino sulle guancie. La sua faccia era pallida, scarica, come se le sue forze l’avessero abbandonato. Stava affogando nei dispiaceri ma non credeva nella commiserazione e questo lo fece sentire ancora peggio. Si sedette con una domanda che gli rimbombava nella testa. Perché è dovuta morire? Non ebbe nessuna risposta e si riprese troppo in fretta. Perché è andato tutto a puttane? Ritornò nel salotto. Aveva bisogno di whisky.
Perchè?
Lui la amava molto.
Perché?
Cercò di fare ammenda. Cercò di fare buoni accordi con le norme della società. Voleva capire tutto ciò che succedeva a loro. Voleva lei per essere amato e non gli importava quanto fosse duro provare. Aveva mandato a puttane tutto.
Perché?
Voleva essere normale ma non era ancora possibile.
Perché?
Voleva stare vicino ad Janie ma era morta. Questo tormentava la sua fragile anima ma per un istante di pazzia, Zak concluse che il suo corpo non poteva più essere libero.
Grugnì, attaccando il suo salotto come se ci fosse una fottuta zuffa. Pugni e calci attaccarono i muri e i soprammobili senza difesa. Tirò un pugno con la mano destra e un grande buco si manifestò sul cartongesso. Strappò una lampada orientale e la buttò su un tavolo in mezzo alla camera colpendolo. Lanciò il posacenere di marmo su una placca, rovinandola. Il respiro sconnesso, la puzza di alcol, prese un disco di platino e lo spacco, cocci di vetro ovunque. I vetri rotti sul pavimento scintillarono come il sole riflesso sulla sabbia. Non gliene fregava di quante camere d’hotel distrusse lungo la sua carriera, ma in tutto quel tempo non danneggiò mai una chitarra. Questo era un rigido taboo fino ad oggi.
Camminò oltre la fila delle chitarre, prendendo una Stratocaster del ’68 e la fece oscillare, spaccandola finché non divenne legna da ardere. Con il suo atto di distruzione, si sentiva leggermente meglio. Camminò oltre e prese un disco di platino, pronto a tirare un pugno sul vetro. Il sangue fuoriuscì dalla mano che era stata assicurata da Lloyd a Londra.
Per la prima volta nella giornata sorrise.
Zak prese una bottiglia di Jim Beam dal bar e la tracannò. Il liquido lenì il forte dolore nel petto e lenì il dolore alla mano sanguinante, che aveva bisogno di qualche punto. Camminò verso il suo stereo Fisher, e usando la mano buona girò il ricevitore. Il lettore digitale era bloccato su una classica stazione rock. Era l’unica stazione buona del quadrante, come se non avesse suonato altro che la sua canzone. Zak era troppo nuovo, troppo recente. La stazione suonava roba degli anni Sessanta e Settanta. Riconobbe immediatamente la canzone; era degli Humble Pie’s, e si intitolava I dont’ Need No Doctor. Era quel tipo di rock grezzo che lo aveva ispirato a diventare un musicista. Dopo i Pie c’erano gli Allman Brothers. Zak poté capire come si sentiva uno che veniva flagellato.
Durante la pubblicità, ritornò in cucina per prendere un’altra birra. Dalle casse un negoziante diceva che i suoi prezzi erano i più bassi di tutta Italia. La musica di sottofondo che accompagnava la pubblicità era la sua canzone.
I suoi occhi si sgranarono, ma nessuna lacrima scese, come se lui avesse realizzato che ovunque egli fosse, non avrebbe potuto nascondersi. Come un uomo con la sua missione, andò verso lo stereo, prese il ricevitore e lo colpì con entrambe le mani.
Ci vollero molti strattoni prima che le luci si spegnessero. Con il ricevitore in mano inciampò all’indietro, e toccò i fili metallici di uno dei due altoparlanti Bose. Affranto e senza fiato, impazzì contro le grandi porte scorrevoli che portavano al balcone. Casualmente fece cadere il ricevitore d’alta tecnologia e disinserì la serratura che teneva bloccate le porte. Aria fresca attaccò i suoi sensi, lo fece rinvigorire e uscì sul balcone e guardò oltre. La sua Bentley luccicava nel parcheggio sottostante. Prese il telecomando, lo lanciò oltre il bancone, diretto verso la macchina. Dopo qualche secondo di meraviglia, se la direzione fosse stata giusta, avrebbe funzionato. Una crepa sul parabrezza si formò quando il telecomando la colpì e lo ruppe. Andò a prendere una birra e si distrasse quel tanto che stracciò la porta del frigorifero lasciandola aperta. Rimase aperto, e molta roba finì sul pavimento. La porta perse un cardine. Zak prese una birra, e la scolò a metà, e come un forte lanciatore di baseball la lanciò contro la sua collezione di chitarre, sfiorando la sua preferita: una Sunburst Les Paul vintage del 57. Prese un’altra lattina dal frigo rovinato e i suoi occhi tornarono sulle chitarre.
Le chitarre erano come dei bambini adottati e le amava ognuna in maniera diversa.
Certe chitarre gli davano determinati ricordi, ma ogni chitarra aveva l’abilità di creare la magia. Era questo potenziale che gliele faceva rispettare e ammirare, fino a quel pomeriggio. Ora, non gli importava nulla di quanto amore provasse, o quanto potessero valere, tutto quello che voleva era di provare del dolore. Il dolore lo portava vicino alla realtà. Lo portava vicino a Janie. Gli dava quel mondo chiamato musica, buona musica, e gli chiedeva un piccolo ritorno. Un piccolo spazio per creare, molti effetti dentro, e la pace dello spirito? Invece, lui aveva dell’altro buon materiale che poteva sempre usare, molti soldi che poteva contare, e nulla per cui lottare. C’era un tempo non troppo lontano quando combatteva come un dannato per cose così. Ora quello che possedeva era un pezzo di rock che avrebbe voluto ridare indietro. Ciò che vide all’apice non era così pittoresco come se l’era immaginato. Quello che aveva fatto era espressione artistica, le compagnie discografiche vendono per il capitale. Crebbe abbastanza disilluso con il sistema, ma che cosa avrebbe potuto fare? Senza l’industria non poteva condividere la sua musica. Non importava quanto fosse duro cercare di spiegarglielo, le note musicali non equivalevano a dei dollari. Lui faceva musica perché sin dalla sua infanzia, lui adorava il rock n’roll. Era la gente, la sua gente, scriveva musica dopo che aveva scritto per se stesso. Così dopo, perché non riusciva a dormire la notte?
Cercò la risposta.
Avrebbe ucciso le chitarre. Se non fosse stato per le sue chitarre, non ci sarebbero stati i suoi problemi. E salvò la dannata Sunburts 57 per ultima. Prese un’altra birra, rimpinzando la sua bocca avida.
La Bud gli uscì dalla bocca. Quando la lattina fu quasi vuota, la schiacciò e la calciò come un calciatore. Incazzato, prese la Les Paul Black Beauty e l’afferrò procurandole una breve ma violenta morte contro il muro. Sollevò una rara Telecaster sopra la sua testa e la bastonò contro il tavolo da caffè, rompendoli entrambi. Dopo prese un’altra Les Paul, e come con una mazza da baseball, colpì una lampada e altri oggetti prima di distruggerla definitivamente.
<<Fottuta robaccia>>, grugnì.
Sentì qualcosa che gli ricordava un leggero ritmo. C’era un batterista che suonava nella sua testa? Ci vollero un paio di secondi per realizzare che c’era un vicino che picchiava la mano sul muro.
<<Il volume è troppo alto?!>> Zak urlò nella direzione da dove proveniva il rumore. Non si fermò.
<<Lasciami in pace, stronzo!>>
Zak andò verso la camera da letto in direzione del comodino. Prese la coca e ne versò un cumuletto sul retro della sua mano che non era sanguinolenta. Dopo leccò il rimasuglio sul pugno, passandosela sui denti e sulle gengive. C’era un pacchetto di Marlboro sul tavolo. Ne prese una e se l’accese. Fece una profonda fumata e sentì i dintorni. Il vicino stava ancora picchiando sul muro. Il posacenere era pieno, così Zak posò la sigaretta sul bordo del tavolo. Voleva evitare un confronto, ma la testa di cazzo del vicino non voleva lasciarlo in pace. Andò verso il muro, prese la Smith & Wesson 357 Magnum, e la caricò fuori dalla camera da letto.
<<Okay, vicino del cazzo! Vogliamo giocare?!>>
Scaricò tre colpi sul muro già bucherellato. I colpi cessarono. Rise ancora. Direzionò la pistola verso uno dei suoi dischi di platino sull’altro muro, e distrusse le sfere luccicanti. Puntò la TV ed esplose. Un ultimo colpo. Tenne la pistola argentata con ammirazione. Poteva facilmente raggiungere Janie; tutto quello che doveva fare era premere un semplice e veloce grilletto. L’idea lo stuzzicava. Zak era pronto per la sua nuova vita. Con calma, gli occhi chiusi, sollevò la pistola. Il grilletto canzonava il suo indice sanguinante. La canna della pistola risultava piacevole sulla sua tempia. Riaprì gli occhi. Davanti a lui, due Les Paul lo deridevano. Ci fu un momento nella sua vita in cui questi strumenti furono sacri. La dedizione di un anno di pratica fu il lavoro che amava. Le chitarre erano la sua passione, la sua espressione, e il suo biglietto per l’oscurità. Ma tutto cambiò con una canzone. Ora quelle chitarre gli ricordavano che non poteva riprendersi la sua innocenza.
Non posso morire con della fottuta dignità?, pensò meravigliandosi che la rabbia lo stesse consumando.
Non poteva suicidarsi senza musica che lo interferiva. Mosse le sue braccia in direzione di una delle due chitarre. Ci fu un profondo rinculo di pezzetti di legno tutt’intorno. Fece un grande buco in mezzo alla chitarra. Prese la rimanente e la fracassò contro la porta di vetro. Uscì fuori dal balcone. Sotto un piccolo gruppo di persone erano intorno alla sua auto.
<<Qualcuno vuole un autografo?>>, disse tossendo.
<<Aspettate, aspettate un minuto. Ho un altro regalo!>>, urlò, e corse dentro la camera.
I suoi passi pesanti presero la sigaretta che si era dimenticato sul comodino. Si spense sul tappeto. Zak diede una gomitata alla parete, afferrò una centinaio di bigliettoni e corse sul balcone prima che il gruppetto di persone potessero andarsene.
<<E non dite che non vi ho mai dato nulla>> annunciò, lasciando i soldi liberi.
Molti spettatori si fermarono e se ne andarono dopo aver raccolto i soldi. Zak fece un cenno alla folla e tornò dentro.
Una chitarra era rimasta.
La fissò, era del 57 i colori erano bellissimi e meravigliosi. Era propriamente chiamata Sunburst. Rosso,arancione e giallo si mischiavano sul corpo di legno. Questa aveva le alette dorate così come i fonorivelatori. La Sunburst era la sua chitarra preferita. Ne aveva un’altra dozzina in un magazzino ma quella chitarra l’aveva comprata dopo che aveva firmato il contratto discografico. Era come se si fosse premiato per avercela fatta. Questa era la chitarra con cui aveva composto la canzone. Si approcciò con cautela e rispetto e gentilmente la sollevò. Si sedette sul divano a fiori in stile Indiano. In fondo, era contento di non averla spaccata. La sua mano gli faceva malissimo, ma voleva suonarla. Il sangue gocciolava dalla sua mano e imbrattò il corpo della chitarra stesso. Affascinato, Zak lo guardò scorrere. Non importava quanto fosse intossicato, le sue dita non l’avrebbero mai tradito, e quella chitarra era particolare perché rispondeva sempre alle sue chiamate. Incominciò scegliendo qualcosa che somigliasse al suono di Hendrix. Si fermò bruscamente. Qualcosa riguardo quell’ultima chitarra lo impressionò al puntò che non poté più continuare. In modo vago, gli ricordava una parte della canzone. Dopo essersi preso un profondo respiro, Zak recuperò la sua compostezza. I multimilionari come lui non erano supposti di piangere. Loro erano dietro alle lacrime o alla fine era quello che la società voleva farti credere. Cominciò a strimpellare uno dei suoi riff preferiti: Thin Lizzy, Don’t believe a word. Anche se la chitarra non era amplificata, poteva sentirla come se lo fosse. Lasciò che l’ultima nota uscisse sola e si fermò a riflettere. Era solito amare il sentimento di questi strumenti nelle sue mani. Era solito adorare far uscire le note e farle vivere. Amava tenere fra le mani questa chitarra. Dopo la sua mente viscida gli ricordò quanto aveva amato Janie. Velocemente uscì nel corridoio e lanciò la chitarra fuori. Cadde rumorosamente.
Guardò senza alcuna espressione la chitarra e pensò a Janie. Entrambe gli diedero momenti di intenso piacere, ma non fu mai abile a dichiarare la sua gratitudine. Non aveva mai detto la verità su come lo faceva sentire, su quanto l’amava, e quando lo fece, la canzone riaffermò che lui poteva tenere il becco chiuso. Alla fine lei doveva sopravvivere. Ma la canzone era pura e lui voleva suonarla per lei. Anche se il suo corpo fisico non era presente, lui poteva suonarla a lei in paradiso. Lui voleva suonare, ma era impaurito a toccare la chitarra.
Dopo Zak vide un’alternativa. Vide la bottiglia di whisky semi vuota, e la finì. Scivolò silenziosa dalla sua mano. Profondamente ubriaco e drogato, si accasciò sopra il piano. La sigaretta caduta sul tappeto cominciò a bruciare anche il piumone. Le fiamme velocemente si propagarono a tutta la camera da letto. I vestiti gettati alla rinfusa sembravano impazziti e presto la camera fu in fiamme.
Fino a qualche ora prima, la vita di Zak, non importava quanto miserabilmente, aveva avuto qualcosa che molte persone potevano solo sognare. Era un’illusione, ed era uno della rock n’roll elite: un eroe. Ora era reduce dalla sua personalità di base e nulla gli importava realmente. Soffocò la sua spiritualità con l’abuso di droghe. Provò la sua salute e la sua crescita personale con il vizio. Accecò se stesso perché era spaventato di vedere che il suo scopo, il suo dono di vita, era solo il vero se stesso. E l’unica volta in cui fu abile di trovare le sue verità era quando suonava la musica. Toccava dolcemente le chiavi d’avorio, le melodie prendevano vita con il tocco delle sue dita. Non gli importava quanto male gli facesse la mano; lui persisteva nel fare musica. Era determinato a suonare per Janie e per tutti gli altri angeli. Con ogni liquido che correva, ogni armonia, ogni accento musicale, il suo dolore interno si era placato. Ogni nota che faceva diventava un tutt’uno con la musica.
Sudando copiosamente, Zak sentiva qualcosa che si agitava alle sue spalle. Cercò di ignorarlo per più tempo possibile.
Finalmente si girò e vide le grandi fiamme inondare fuori dalla camera da letto. Inizialmente pensò che fosse un’allucinazione, ma il fuoco scoppiettava realmente e andava verso di lui. La sua chitarra preferita era ingolfata e morente. Volle salvarla ma non ce la fece. Rifiutò di interrompere il suo jamming. Janie lo stava ascoltando. Ogni volta che le sue dita toccavano le Steinway’s Keys, macchie rossastre le inzozzavano. Ignorò le piccole macchiette rosse, scivolando le sue lunghe dita su di lei. Le vene varicose pulsavano dal suo avambraccio, il sudore gli colava dalla faccia. Tutto ciò che voleva fare nella sua vita era suonare e ora lo stava facendo. Per il momento si sentiva libero dai suoi demoni. Prese coraggio e incominciò a cantare la canzone con il suo naturale timbro di voce. Il tappetino sottile divenne in breve tempo un muro di fiamme come se un onda gigante di rose infuocate si fosse alzata e si propagò intorno al piano. Non gliene poteva interessare. 
Appena le fiamme inghiottirono l’appartamento, Zak non urlò mai e non stonò una nota.