martedì 23 luglio 2013

[Recensione] Pain&Gain- Muscoli e denaro

Non c'è niente di buono nel cinema di Michael Bay, non c'è mai stato, nè ci sarà mai. Sarebbe come dire che durante il regime nazista sono state fatte ANCHE cose buone. E il vero problema di Bay è che ha sempre voluto, a tutti i costi, inserire nei propri "filmoni" la sua idea di mondo, la sua politica, il suo modo di percepire "il sogno americano".
Alla luce di ciò, Muscoli e denaro potrebbe quasi essere una formula definitiva di tutto il suo cinema: la forza bruta del fisico e il potere del soldo sono gli unici mezzi che i buoni hanno sempre avuto a disposizione in partenza e sono anche gli strumenti risolutivi di ogni situazione. E che abbia parlato di Storia (abilmente manipolata e massacrata nel nome del più sfrenato patriottismo) con Pearl Harbor, di operai nello spazio con Armageddon, di robot che si trasformano in pick-up all'ultima moda con Transformers, e di tante altre immense e roboanti cazzate, Bay è sempre stato sicuro di sè, non si è mai vergognato dei propri prodotti. Faccio un esempio: durante la conferenza stampa per la presentazione di Bad Boys II, ebbe il coraggio di dichiarare che questo film affrontava la realtà (per chi non avesse avuto la sfortuna di vederlo, i protagonisti sono due poliziotti della narcotici che si muovono in Ferrari, sono circondati da gnocca di prima scelta e conducono indagini solo in ville di lusso). 
Quando ci imbattiamo in figure come quelle dei due culturisti (Mark Whaldberg e The Rock) protagonisti del film, non siamo lontani dalla mediocrità di tutti gli altri protagonisti del cinema firmato Bay, un cinema pessimo non solo nei contenuti, ma anche nella forma. Come sempre Internet dà il peggio di sè, con recensioni in cui si citano, fra le influenze stilistiche, Tarantino (ma neanche in un sospiro dei mongoflettici dialoghi!), Welles (ma dove, che Bay ha dichiarato più volte, vantandosene, di non conoscere il cinema classico?) e i fratelli Coen (una webzine di basso livello ha fatto un paragone inesistente con Fargo). Inoltre, non mi annovero in quella schiera di omuncoli che amano Van Damme e Chuck Norris perchè è un'esperienza <<così trash>> e che, di conseguenza, ammirano The Rock come interprete: The Rock fa schifo a vedersi. Così come fanno schifo i film di Michael Bay, che pensava di stupire tutti realizzando una pellicola a basso budget (20 milioni contro i quasi 200 dell'ultimo Transformers) e che invece non ha fatto meravigliare nessuno: Muscoli e denaro poteva essere un ottimo slogan ai tempi di Reagan, ma se il mondo è migliorato lo dobbiamo anche alla dipartita di persone come Reagan e al tramonto del cinema testosteronico americano anni '80 (salvo qualche innocuo revival stagionale); e così il nuovo film di Bay, oltre ad assestarsi sui gradini più bassi della cinematografia mondiale, è pure ridicolo, anacronistico e dannoso. Dannoso perchè come i suoi predecessori sembra quasi esaltare i lati peggiori dell'animo umano, senza però avere nulla da insegnare: dall'edonismo al razzismo, dalla voglia di vivere solo in funzione di sè a quella di mettere certe priorità di fronte ad altre solo perchè ci si sente superiori al resto del mondo, tutto è sgradevole, gratuitamente violento e inutilmente reazionario.
Da boicottare.

lunedì 22 luglio 2013

Cosa aspettarsi dal film sulla "Justice League" [Scosse]

Risale a ieri il comunicato stampa ufficiale emanato dalla Warner Brothers che ha confermato le voci che da tempo circolavano nel "magico" mondo degli appassionati di cinecomics: il film sulla Justice League si farà. Cosa aspettarsi?
Il peggio. E non lo dico per partito preso, ma per i seguenti motivi:

1) per quanto interessanti (e attualmente superiori, almeno su un piano prettamente fumettistico) possano risultare i personaggi dell'universo DC, al cinema sono stati tutti molto sfortunati; film come Lanterna Verde, Catwoman, Steel, Jonah Hex o The Return Of Swamp Thing non hanno propriamente giovato al destino di certi personaggi, nè hanno dato una buona immagine della casa editrice americana a quella fetta di pubblico che- seguendo una moda, ahimè, sempre più dilagante -si avvicina ai fumetti attraverso il film.

2) essendo sempre stato assente un reale interesse per creare una certa unità all'interno dell'universo cinematografico DC e visti i cocenti flop del 70% delle pellicole finora prodotte, il kolossal sulla JLOA parte svantaggiato in tutto e per tutto rispetto al suo diretto rivale The Avengers.

3) le date di uscita ipotetiche sono state fissate, al momento, o nell'estate del 2014 o nella primavera del 2015, e cioè quando uscirà nelle sale The Avengers: Age Of Ultron. Inutile dire che entrambe le date rappresentano due suicidi commerciali belli e buoni. 

4) Christian Bale, che oltre ad essere un grande attore è anche una persona seria, non vestirà i panni di Batman, eliminando così l'unica figura di spicco del cast. Ad ogni modo, non temete: George Clooney, Michael Keaton e Val Kilmer ne stanno discutendo.

5) la regia è stata affidata a Zack Snyder, e questo potrebbe rappresentare, da solo, l'unico motivo per cui non considerare minimamente questo film.

6) io capisco che sia un buon investimento, però, da spettatore, mi sarei anche stancato di assistere a produzioni milionarie incentrate solo su gente in calzamaglia: che sia forse l'ora di iniziare a concentrarsi anche su altro?


mercoledì 17 luglio 2013

[Recensione] Solo Dio perdona

<<Si è svegliato presto!>> esclameranno le puntigliose malelingue che seguono, in maniera più o meno assidua, il blog, e in particolar modo le recensioni. Infatti, parlo di Solo Dio perdona, uscito nelle sale italiane il 30 maggio, ma approdato al cinema più vicino al sottoscritto solo stasera e solo per un paio di giorni: e, ad ogni modo, non me ne frega molto.
Avendo amato molto Drive, le aspettative per il nuovo film diretto da Refn e interpretato da Gosling erano alte, forse troppo alte. Del resto, vorrei vedere chiunque al mio posto! Come si può non essere preda di facili illusioni cinefile quando un regista danese di talento torna a dirigere il suo attore feticcio americano in una produzione francese totalmente girata e ambientata in Thailandia?
Circa un mese fa inizio a leggere critiche e recensioni: se ne parla prevalentemente male, gli elogi scarseggiano e si respira una certa aria di delusione, confermata anche da chi, pur idolatrando da sempre il cinema di Refn, sembra essersi arreso al nuovo, "complicato" film. 
In tutta sincerità, non capisco come Solo Dio perdona risulti un film "complicato", o difficile da comprendere: a Bangkok (quella vera e non quella da pacchetto turistico all-inclusive cui siamo stati abituati dalle sgradevoli commediole turistico-sessuali americane) Julian (Gosling) e suo fratello Billy (Burke) gestiscono una palestra di thai-boxe e sono ben inseriti nel giro delle scommesse e della droga. Billy, purtroppo, ha il vizio di trattare male le donne e una notte stupra e uccide una sedicenne. Si innesca così un meccanismo di vendetta che vede, da una parte, l'anziano ispettore in pensione Chang (Pansringram) nei panni dell'angelo vendicatore, e dall'altra, Julian, costretto ad assecondare i desideri della cattivissima madre (un'eccelsa Christine Scott-Thomas).
Il film è questo. Si regge su tre personaggi e quattro dialoghi. Il silenzio domina incontrastato, ma non sempre Refn dimostra di saper gestire un espediente così tipicamente scandinavo: ci sono delle sequenze in cui il mutismo funziona benissimo (alcune visioni di Julian nel bordello, il combattimento), e altre in cui è solo una sterile scusa per nascondere o forse giustificare gli enormi buchi caratteriali dei personaggi. E anche la regia- che in Drive era solidamente impeccabile -cade a più riprese nella trappola del manierismo: che si tratti di emulare gli orientali (le citazioni vanno da Ozu a Woo) o gli occidentali, Refn non inventa nulla, neanche nella scelta di una determinata luce o di una certa inquadratura. Perfino Cliff Martinez (nuovamente autore della colonna sonora) sembra essersi sforzato troppo, tant'è che si ha come l'impressione di ascoltare, per buona parte, gli scarti dalla colonna sonora di Drive. E poi tutta questa simbologia: Caino e Abele? Oriente contro Occidente? L'onore e il rispetto? Mah...
Alla fine, "troppa carne al fuoco" mi sembra il miglior modo di condensare il mio pensiero su questo film.
P.S.: apro una micro-parentesi sessista e racconto di come fossi uno dei pochissimi uomini presenti in sala; il pubblico era infatti composto essenzialmente da donne di età compresa fra i 15 e i 60, che sembravano molto poco interessate a quanto accadeva nel film e si coprivano gli occhi sulle crude scene violente per poi spalancarli, con lunghi sospiri, ogni volta che Gosling- due espressioni e tre vestiti -appariva sullo schermo. 

venerdì 12 luglio 2013

[Recensione] Pacific Rim

Prendiamo il film sui e con i robot degli anni 2000: Transformers
Transformers somiglia, purtroppo per lui, al suo autore, Michael Bay: è un film pomposo, barocco, sgradevole e inutile. 
Non è il film di intrattenimento con una storia banale ma girato bene: è il blockbuster con una brutta storia e girato male. Dunque, assomiglia alla maggior parte dei blockbuster usciti nelle sale negli ultimi diciassette anni. Inoltre, non inventa niente, dal momento che trae spunto da una serie a cartoni animati nippo-americana di fine anni '80 che a sua volta si ispirava a blablablablabla. 
La mia logorrea è sprecata per Michael Bay, scusate.
La realtà è che c'è poco da discutere e poco da comparare. Sono qui a parlare di Pacific Rim di Guillermo del Toro, regista eccezionale, grande produttore, artista di immensa creatività e, da ieri, autore di quello che può essere considerato: 
1) il miglior film di robot della Storia del Cinema.
2) il miglior film di kaiju occidentale della Storia del Cinema.
3) il miglior film di intrattenimento di inizio XXI secolo.
Ma la cosa più bella del film- un aspetto che del Toro non nasconde, ma, anzi, fa trasparire volentieri -è l'incredibile susseguirsi di omaggi a due universi che egli ama immensamente: i robot stile Go Nagai (papà di Mazinga Z, Jeeg, Getter Robot) o Hideaki Anno (creatore di un capolavoro come Evangelion) si scontrano con i mostri del cinema di Ishiro Honda "riletti" in un'ottica più occidentale e contemporanea (i kaiju possono colonizzare la terra perchè, complice il buco dell'ozono e altre catastrofi causate dall'inquinamento, per loro è divenuto un pianeta vivibile) e rivisti, a livello fisico, grazie ai mezzi degli effetti speciali odierni. E, parlando di effetti speciali, non possiamo smettere di ringraziare quei genietti di ben sette aziende (fra cui la celeberrima Industrial Light & Magic) per averci regalato 130 minuti di un 3D sublime, oltre ogni aspettativa, senza però far sembrare Pacific Rim l'ennesimo giocattolone diretto dal grande regista di turno. 
Questo perchè Pacific Rim è, per prima cosa, esattamente il film che Guillermo del Toro voleva fare: le ombre fantasy de Il labirinto del Fauno si allungano in numerose scene del film, mentre nella bellissima sequenza dentro il portale (due minuti che valgono le tre ore di Avatar) la creatività raggiunge i suoi massimi livelli di anarchia. E fidatevi: una così ampia libertà visiva concessa ad un autore è cosa rara da ritrovare in un blockbuster estivo. Perchè Pacific Rim è molto di più di un banale blockbuster estivo: è il film di intrattenimento attuale, quello che era giusto fare ora ed è giusto andare a vedere ora, quello che mi ha fatto pentire di non avere vent'anni di meno e di potermelo godere ancor più pienamente, quello che mi ha emozionato per ciò che mi ha fatto sentire (la stupefacente colonna sonora di Ramin Djawadi e un montaggio sonoro da Oscar), quello che è l'anti-Transformers, quello dove non c'è il bacio, quello dove non c'è Megan Fox messa lì a mo' di pretesto per tutto ciò che succederà nel film. 
E poi Pacific Rim non è un film da nerd: il nerd che lo andrà a vedere si lamenterà e basta, e non si godrà lo spettacolo perchè troppo impegnato a sfogliare l'enciclopedia dei robot giapponesi alla ricerca di ogni citazione contenuta nella pellicola, non farà attenzione a quanto impeccabile sia la regia di del Toro, con i suoi ritmi e il suo montaggio classico e perfetto; non mediterà su quanto questi interpreti sconosciuti (a parte Ron Perlman) funzionino bene perchè un film non lo fanno gli attori, ma il regista; non noterà gli inattesi omaggi a opere come Blade Runner (Hong Kong sotto la pioggia) o Alien (la geniale idea della maternità kaiju, che praticamente "riapre" il film).
Insomma, io mi sforzo da dodici ore di trovare un difetto a Pacific Rim, ma non ci sto riuscendo: e un po' mi preoccupo. Forse ci troviamo di fronte ad un capolavoro del suo genere e ad un grande film in senso assoluto e non ce ne vogliamo rendere conto? 
Sarà così per gli altri, ma per me no. Per me, Pacific Rim è un film epico da subito, un'opera che- più di molte altre spacciate per "blockbuster definitvi" negli ultimi dieci anni e poi finite nel dimenticatoio -continuerà a far parlare di sè come di un qualcosa che non solo ha rivisto e rinnovato un genere, ma che ne ha codificato i meccanismi: ed è per questo che già l'imminente Godzilla di Edwards e tutto quello che Hollywood ha in cantiere su robot e affini dovrà fare i conti con il kolossal di del Toro. 
Altrimenti, a cosa servirebbero i capolavori?

lunedì 8 luglio 2013

[Recensione-Scontro] World War Z Vs. The Lone Ranger


Non esiste alcuna regola che obblighi un discreto film ad essere originale, e World War Z di Marc Forster ne è la prova. Vuoi per la trama che unisce l'horror al film catastrofico, vuoi per il sottotesto bellico-politico, vuoi per il dramma familiare, è un po' come assistere ad un incrocio fra La città verrà distrutta all'alba e La guerra dei mondi, il tutto scandito da una tempistica impeccabile: 116 minuti, cioè meno di due ore, cioè quanto un film dove un Brad Pitt in gran forma (con immancabile famiglia bionda al seguito) deve durare senza risultare palloso, osceno, banale. E la banalità World War Z non sa cosa sia, pur non inventando niente di nuovo. Perchè dietro questi super-zombie che corrono c'è una spiegazione, dietro i personaggi c'è una storia (vedere il medico interpretato dal nostrano Favino), e l'idea del vaccino è quanto di meglio poteva essere fatto per risolvere brillantemente il secondo atto del film. Dunque il discorso è molto semplice: World War Z è il classico blockbuster estivo che funziona, non fa schifo e supera la soglia della sufficienza. E comunque un paio di salti sulla sedia io li ho fatti...

VS.

Il film su Lone Ranger? Brivido di paura, perchè The Lone Ranger (fumetto americano di fine anni '40 divenuto serie televisiva e cinematografica nei '50) era stato giustamente dimenticato da tutti, anche da chi come me- appassionato di western nella sua globalità -si era fatto bastare le immagini riportate in un paio di enciclopedie del genere. I brividi raddoppiano quando si scopre che la Disney produce un qualcosa che vorrebbe (forse) assomigliare a un western, e che a dirigerlo è Gore Verbinski, santo protettore di coloro che hanno venduto a stormi di mentecatti accessori, trucco e abbigliamento per appestare Lucca e altre città con il costume di Jack Sparrow. Se qualcuno ha presente il livello di imbecillità di Johnny Deep nella serie dei Pirati dei Caraibi, qui non troverà nulla di nuovo: è imbecille esattamente allo stesso modo. E mentre nella pellicola piratesca finisce con essere lui il vero protagonista (visto che l'Orlando Bloom pseudo-protagonista è una nullità assoluta), qui il giochetto della spalla (Tonto) che in realtà è la protagonista funziona ancora peggio, e non perchè Armie Hammer (attore che ha mostrato di essere in gamba già in The Social Network e J. Edgar) sia adatto al ruolo (anzi...), ma perchè è l'intero, misero sistema di trama del film a reggersi male. Non c'è un momento di cinema western in questo schifo, anche perchè non si spara, si fanno battute idiote (alle quali solo un pubblico di idioti potrà ridere, un po' come già collaudato nei Pirati) e le riprese, girate come un film d'azione senza arte nè parte, sembrano essere uscite da uno scatolone di outtakes computerizzate e destinate agli Avengers. E poi 150 minuti sono un'eternità, specie se si pensa che già dopo la prima ora, se si è un minimo intelligenti, ci si sente presi per il culo.

martedì 2 luglio 2013

Così lontano da casa [Trame]


COSÌ LONTANO DA CASA

E' così piacevole sentir scorrere le gocce di ghiaccio appena disciolto lungo il collo. Mi torna in mente il modo in cui, ad una festa di tanti anni fa, strizzasti quei limoni non ancora maturi e mi leccasti dall'orecchio alla spalla.
Ma erano altri tempi. Di uguale, oggi, c'è solo il caldo e nient'altro.
C'è anche il mio vecchio pediatra a bere birra gelata in un angolo, e andiamo d'accordo: facciamo entrambi finta di non conoscerci, e tiriamo giù altre due belle sorsate, all'unisono, senza neanche guardarci, senza un piano prestabilito.
Passo il dito sull'etichetta della birra, che inizia a staccarsi a causa dell'umido e di una miriade di altre reazioni chimiche di poca importanza che, per fortuna, non capirò mai. Domando a me stesso se ti ricordi di quella mattina in cui il sole splendeva e noi iniziavamo a bere prima del solito. Ci amavamo, è vero, ma iniziai allora a chiedermi se tu fossi cambiata, se i tuoi capelli fossero ancora dello stesso colore di quando li avevo annusati la prima volta. Lo dicevano in tanti che in coppia, per noi, sarebbe stata dura, perchè non ci erano mai piaciuti i vestiti fatti in casa, le marmellate e i conti in banca.
Ora la radio urla le ultime notizie. Il disc-jokey sembra divertirsi come un matto a maltrattare chi telefona, il che è come mordere la mano che ti nutre. Basta un cenno e nessuna parola perchè Gioia venga, raccolga la mia bottiglia vuota, ne tiri fuori una uguale dal frigo, la appoggi sul bancone e la stappi. Ed ecco che arrivano quei pochi secondi di euforia giovanile.
Riaffiora quella scura e triste notte in cui ti voltasti a guardarmi col volto solcato dalle lacrime, mentre me ne andavo forse per l'ultima volta. <<Vorrei dirti tutte le cose che non ho mai saputo dirti...>>, o roba del genere.
Gioia continua a lavorare sotto una luce accecante, fastidiosa quasi quanto il caldo là fuori sulla strada. Volto la testa e butto un'occhiata sull'asfalto rovente, poi torno composto, a vedere la sua carnagione pallida e a concludere la bevuta. Saranno già sei o sette ore che è qua, e decido di raccontarle una barzelletta. Ho la voce roca ultimamente, e i toni sono bassi, dunque deve venirmi vicino per ascoltare. Racconto la mia storiella, e nel farlo mi accorgo che non sento più vibrazioni, odori, battiti cardiaci.
La stessa sensazione provata poco dopo essere rimasto da solo, negli anni in cui vivevo in città e per dipingere dovevo scendere in uno scantinato puzzolente. C'era la neve, quell'inverno, ed ero senza riscaldamento, ma non importava: dipingevo con l'uccello più che con le mani. Sapevo che qualcosa dentro di me era morta, avevo in bocca il peggior sapore che avessi mai sentito e non ricordavo se il mondo fosse piatto o tondo. Ma ero me stesso.
E ora sto di nuovo tornando indietro.
La mia barista di fiducia sta ancora ridendo per la barzelletta, così la riporto alla realtà bruscamente, tenendo un discorso sul perchè le persone- e più in particolare, le donne -dal destino incerto siano le migliori. Gioia dice di non farsi problemi, che tanto <<sfatto un letto, si salta in un altro>>. Salto a conclusioni affrettate, dicendo che tutti siamo maestri dell'illusione ma, paradossalmente, soffriamo di fronte alle grandi delusioni.
In realtà, io sto male dentro: nulla di più semplice.
Pago il conto, tiro su i jeans, metto il cappello, mando un bacio, esco dal locale, cammino in direzione del sole.
Sento il calore investirmi come un treno merci. Osservo il campo oltre la strada: è immobile e non c'è un filo di vento.
Tanti campi fa, sedevamo accanto, la schiena appoggiata su una balla di fieno e il sangue che scorreva a fiumi nelle vene. Il cielo stava diventando scuro, ti detti la mano e tu sentisti un brivido attraversarti la schiena. Eri ancora un po' confusa, ma felice.
Non come adesso, a camminare in salita, per una strada provinciale vuota come Roma a ferragosto. Ho lasciato il bar da appena dieci minuti, ma grazie alle mie gambe lunghe sono già arrivato di fronte all'ennesimo podere trasformato in affittacamere. La verità è che non ricordo quanto lontano ho lasciato la macchina. Dunque mi fermo, tolgo il cappello e passo la mano sui capelli sudati. Do un'occhiata in giro: l'albergatore tiene il neon acceso anche di giorno, mentre il figlio si esercita col sassofono e la moglie cammina nervosamente sotto il portico, unica zona d'ombra nel raggio di chilometri. Mi guarda come se volesse chiedermi <<Hai visto mia figlia?>>, perchè so che hanno una bella figlia sui quindici, capelli castani e con due belle tette, fresche di qualche mese. Sarà partita presto col motorino, doveva tornare per pranzo e ancora nessuno l'ha vista. So come ci si sente.
Anch'io, ogni tanto, al mattino, mi sveglio in una stanza deserta. La cerco, ma lei non è da nessuna parte. Spalanco la finestra, ma il vuoto dentro è incolmabile. Solo il ticchettio degli orologi a ricordarmi quanto tempo è passato. E lei mi ritroverà ancora una volta, ma il sapere anche solo questo mi è di poco conforto.
Rimetto il cappello e faccio un cenno alla signora.
Ora la strada inizia a farsi più stretta e la vegetazione più folta. Vedo l'ombra degli alberi e non resisto: entro nel bosco e lascio che un inatteso senso di pace mi investa. Di questi tempi, una sensazione simile è un lusso. Tiro fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni il mio portafogli, da cui estraggo la carta di identità. Una foto sbiadita e qualche dato anagrafico privo di reale valore: basta.
Le do fuoco, e brucia velocemente. L'ultima cosa che faccio in tempo a leggere è la data di nascita. Sai che non riesco a credere che abbiamo vissuto così a lungo e siamo ancora divisi. Il tuo ricordo mi risuona alle spalle come un treno in corsa. Mi ricordo ancora il giorno in cui sei venuta da me, giù da quelle colline che sembravano dipinte, con la tua Ford truccata e i tuoi tacchi con la piattaforma alta. Non ho mai capito perchè tu avessi scelto proprio quel posto per vivere, ma avevi ragione. La tua pelle era morbida e delicata.
Te ne sei andata una sera, e non sei più tornata. Sarei venuto a cercarti ma non me la sentivo di prendermi una pallottola in testa.
Avevi una sorta di ritmo oscuro nell'anima, e questo mi piaceva. Ma adesso mi trovo sul filo del rasoio e non sono più dell'umore di ricordare i vecchi tempi, quando ero il tuo uomo, e neanche il mondo vorrebbe che io li ricordi.
Per un attimo, penso all'appellativo “mio dolce amore”: è stucchevole, lo so, ma è vero.
La carta d'identità è ridotta a un pugno di cenere.
Tiro fuori il ferro dai pantaloni: sei colpi precisi.
Avanzo per una trentina di metri e ascolto il rumore dell'acqua farsi sempre più vicino. Vedo il sole riflettersi sulle canne di metallo, in direzione dell'altra sponda. Al di là del fiume ci sono fucili puntati su di me. Se penso a tutto il tempo che possono avere passato laggiù provo quasi pena per loro, costretti a dormire sulla terra, aspettando la preda e magari giocando a carte.
Del resto, non amano che io sia così libero.
Faccio due passi e cerco di essere rumoroso, almeno sapranno che sono arrivato. Ci sono occhi dietro gli specchi d'acqua, spazi vuoti oltre i buchi dei loro proiettili, ombre solitarie che si incrociano distrattamente in passaggi oscuri.
Me ne vado da solo. Cammino senza voltarmi indietro, come Orfeo senza Euridice.
Dicono che lei avesse saputo dove mi trovavo e quale sarebbe stato il mio destino: così, negli ultimi mesi, ho sempre dormito con un occhio aperto, pregando che ogni minimo rumore fosse lei che veniva a trovarmi. Ma non è stato così, e non è così che mi aspettavo che sarebbe stato.
Io confidavo in chitarre che mi dovevano accompagnare oltre il fiume, negli amici di una vita che venivano a salutare, in vagabondi che mi vendevano il loro estremo portafortuna, in puttane accorse a fare avances al mio spirito e alla mia anima. Tutto per un'ultima volta.
E sempre per un'ultima volta mi sento così lontano da lei.
Sono sempre stato il tipo di persona che non ama andare oltre il limite, ma alle volte capita che ti ci ritrovi senza volerlo. Sai, mi sento abbastanza bene, ma questo non vuol dire molto. Potrei sentirmi molto meglio, se solo tu fossi qui al mio fianco. E' strano come le cose non vadano mai secondo i propri piani.
Sono così lontano da casa.