venerdì 31 maggio 2013

"Hobo With A Shotgun" Blu-Ray e/o DVD [Album]

Mi rendo conto solo adesso di arrivare con cocente ritardo sull'argomento Hobo With A Shotgun, pellicola del 2011 che ha fatto parlare molto di sè e che non ha mai trovato una sua distribuzione- nè in sala nè direct to video -nel nostro paese. <<Perchè?>>, si domandano in molti. Perchè, purtroppo, nessuno ce lo ha mai fatto arrivare, nè per censura, nè per cattiveria, nè per altri motivi: semplicemente, Hobo With A Shotgun appartiene a quella schiera di titoli che in Italia nessuno ha mai comprato. In più di un forum può capitare di imbattersi nella frase fatta "ormai in Italia facciamo uscire solo la merda e lasciamo a casa loro i veri capolavori!": nulla di più falso. Anzi, il nostro paese si distingue dagli altri come una delle nazioni che distribuiscono più film, e, se vogliamo dirla proprio tutta, il nostro grande problema non è la distribuzione, ma la produzione. E infine è ben più irritante sapere che da noi esce solo adesso Holy Motors di Carax (presentato a Cannes lo scorso anno) piuttosto che essere consapevoli di aver rinunciato alla versione cinematografica di Mosquito Man. In aiuto a quei cinefili curiosi di vedere Hobo With A Shotgun viene comunque internet, con siti quali Amazon o E-bay, dove il film è acquistabile sia in Blu-Ray che in DVD. La differenza di prezzo è minima, e ovviamente non si tratta di edizioni da collezione particolari o rare. Ciò che conta, in questo caso, è il contenuto, e il contenuto è ottimo. Ma parliamone in maniera più approfondita e provvediamo, da subito, a scacciare pensieri errati e luoghi comuni sul film di Eisner.




Chi si aspetta un Machete più anziano se lo tolga dalla testa. 
Chi si aspetta un tipo di exploitation citazionista e tarantiniana se ne stia a casa. 
Hobo With A Shotgun è un film semplice, diretto, prezioso. E' un esempio di cinema povero (3 milioni di budget), ma al contempo ricco. 
Inoltre, è uno dei film più violenti che abbia mai visto. L'inizio arriva direttamente da Essi Vivono di Carpenter, del quale ritroviamo, nell'arco dei primi tre minuti, anche l'ambientazione distopica di Distretto 13. Ma dopo la scena della prima istrionica decapitazione voluta dal malvagio Drake (Brian Downey) tutto degenera, fra scenari notturni da incubo e colori iper-saturi in cui si nota l'ombra del Grindhouse per cui Hobo era nato (come falso trailer) nel 2007. L'orrore è generato dalla violenza stessa, unica nemica da combattere con rabbia e ferocia, senza risparmiare nessuno. Non c'è spazio per la speranza in una storia come questa, così come non c'è spazio per l'innocenza e la pietà. Hobo (un Rutger Hauer immenso) si muove un po' per giustizia, un po' per vendetta, e ci ricorda più il De Niro in Taxi Driver che la Sposa di Kill Bill. Ma nel mondo di Hobo non sembrano esistere neanche coloro che la giustizia sono in grado di apprezzarla. Dunque, "fanculo"!

87 minuti da vedere solo se si è maggiorenni e di stomaco forte. E non scherzo.
Buona visione.

domenica 26 maggio 2013

[Recensione] Fast and Furious 6

Esiste un cinema coatto e pensato solo per chi, più o meno apparentemente, è un individuo tamarro e ignorante? La risposta è <<sì, esiste>>, e trova la giusta incarnazione in una saga come quella di Fast and Furious. Chi ancora è in grado di ammirare questi film e di trovarci anche solo il più banale "divertimento" dovrebbe vergognarsi. E invece no. Perchè le gesta di Dom Toretto (Vin Diesel), ricco coatto intento a godersi la pensione e a trattenersi dal tornare in pista con le sue macchine pompate, continuano a conquistare chi è grezzo dentro (o chi ha dei seri problemi). Anche adesso che, sfidando le leggi della metafisica, Leticia (Michelle Rodriguez) è miracolosamente resuscitata e tornata nel ruolo di "cattiva", e che l'ex-sbirro O'Conner (Paul Walker), invece di giocare al gratta e vinci e godersi la vita, è ancora lì, indeciso sul da farsi con Toretto e prigioniero del suo fisico da surfista e del suo cervello amebico. Tanto per aggravare una situazione che era già grave ai tempi del terzo capitolo (Tokyo Drift, 2006), il ruolo dei cattivi va a due dei peggiori attori di tutti i tempi: Luke Evans e, "dulcis" in fundo, Jason Statham. 
Fast and Furious 6 è la conferma di un grosso problema: ormai, rappresenta la saga più ridicola del cinema contemporaneo. Non parlo tanto delle trame sempre più inesistenti e sempre più lunghe (130 i minuti di questo sesto capitolo), quanto della sopportabilità impiegata da uno spettatore che non si veste come Vin Diesel, non guarda le donne come Paul Walker (cioè come un ebete) e non mette un alettone da  idroplano alla propria Fiat Bravo. Ah, e poi una domanda sull'aspetto "tecnico" del film: per due ore si susseguono sullo schermo vari modelli di Ferrari, Aston Martin, McLaren, BMW e Lamborghini. Com'è possibile che la Giulietta "sconfigga" tutte queste super-sportive? Forse è per far sentire meglio il proprietario di una Giulietta adornata da spoiler in finto carbonio che sta regalando ai produttori di questa monnezza di film sette euro e mezzo. Gli effetti speciali ormai vanno oltre la credibilità, incitando alla risata a squarciagola, ma nessuno ride. No. Perchè per il ventenne che spende il suo già misero stipendio da operaio in slot-machine e accessori per la macchina Fast and Furious 6 è una cosa seria, che non può far ridere, neanche quando i virtuosismi coreografici godono del loro apparire esasperati ed esasperanti. Per questo odio tanto e disprezzo col cuore la saga di Fast and Furious: perchè è una saga comica e ridicola che tuttavia pretende di farsi prendere sul serio. 
Infine, sapete qual'è il problema più grande? Che, come si evince dal finale finto-marveliano, Fast and Furious 7 arriverà a breve (11 luglio 2014, a quanto ha dichiarato Vin Diesel, che da poco sa anche contare). 

sabato 25 maggio 2013

Il cinema dei morti viventi [Ombre elettriche]


PREMESSA

World War Z, in uscita
in questi giorni in Italia
In tutta sincerità, l'horror iniziava a mancarci, così abbiamo deciso di buttarsi su un altro ramo del cinema di genere: gli zombie. <<Che palle!>>, direte voi, e non avreste tutti i torti. Del resto, le storie di zombie sono quasi sempre pallose, superate e tutte uguali. Per avvicinare le nuove generazioni agli zombie ci voleva un filmetto da rincoglioniti come Warm Bodies, che ha praticamente rimpiazzato i vampiri di Twilight con dei non-morti molto poco originali; ma non pensate che il versante pseudo-serio del cinema di zombie goda di ottima salute. Lo dimostra il tiepido blockbuster World War Z, in uscita proprio in questi giorni nelle nostre sale e già causa di liti fra mogli desiderose di spogliare con gli occhi Brad Pitt e mariti totalmente disinteressati all'ennesima apocallise zombie. E poi non dimentichiamoci che il declino del genere zombie è da imputare quasi solo ad una persona tanto ignobile quanto fortunata (un po' un Berlusconi del grande schermo): Paul W. S. Anderson. 
Il "regista" Paul W.S. Anderson,
qui fotografato con uno strumento
che non sa usare correttamente.
Breve parentesi su Paul W. S. Anderson. Questo riservato nerd britannico inizia la sua infausta carriera con l'adattamento cinematografico di Mortal Kombat, attirando l'attenzione di quei produttori di videogiochi che bisbigliano fra loro <<Allora un povero stronzo disposto a fare film tratti dai videogame esiste!>>. Il non talento di Paul Anderson viene così sfruttato prima per il fantascientifico Punto di non ritorno (1997), da cui verrà tratta la serie di videogiochi Dead Space, e poi per il terrificante Soldier (1998), lontano e storpio parente di Blade Runner (con cui condivide sceneggiatore e l'ambientazione). Se non lo avete mai fatto e volete ridere male, scaricatelo illegalmente (onde evitare di rimpinguare le casse di casa Anderson) e guardatelo. Ad ogni modo, è nell'anno 2002 che Paul Anderson decide di firmare il suo primo film come Paul W. S. Anderson (lui dice che ha aggiunto le due iniziali per evitare di essere scambiato con il grande regista Paul Thomas Anderson, ma almeno per quanto ci riguarda non c'è rischio di fraintendimenti): si tratta di Resident Evil, e questo primo capitolo non è neanche male. Peccato solo che il "Romero 2.0" vorrà firmare anche altri due dei quattro sequel finora usciti (il capitolo finale è previsto per il 2014). Se l'argomento vi interessa e volete ulteriori motivi per disprezzare Anderson potete reperire Alien vs. Predator (2004), Death Race (2005) e I tre moschettieri (2011). 
Come sempre, non spetta a noi decidere le sorti del cinema zombie, il cui futuro non si prospetta di certo fra i più rosei. Ma il nostro vantaggio è che possiamo guardare al passato (più o meno remoto) e consigliarvi dieci pellicole uscite fra il 1968 e il 2009 che basteranno a farvi avere il più squisito assaggio del cinema dei morti viventi. Buona lettura e buona visione.

TOP TEN NEL CINEMA DEI MORTI VIVENTI

1- LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI (1968) di G. A. Romero
Oltre che capostipite di una grande saga (che pare non sia finita), questo capolavoro rivoluzionario è un vera e propria pietra miliare di un genere. Romero (1940) è il vate degli zombie, il demiurgo del loro cinema: un artista con cui chiunque voglia fare cinema horror dovrà sempre confrontarsi. Indispensabile.





2- ZOMBI 2 (1979) di L. Fulci
Non è così strano trovare Fulci nella top 3 dei film di zombie: del resto, Zombi 2 è tuttora fonte di ispirazione per molti registi giovani e meno giovani, un'opera da manuale che non ha perso di un anno la sua angosciosa, disperata bellezza. Uno dei capolavori del Maestro.







3- IL SERPENTE E L'ARCOBALENO (1988) di W. Craven
Gli amanti del cinema splatter di serie C odiano sicuramente questa perla craveniana, realizzata in un periodo d'oro del creatore di Nightmare. Uno dei pochissimi film che indagano sulle origini culturali e antropologiche dei morti viventi, utile soprattutto come punto di partenza del genere per quegli spettatori avidi, oltre che delle solite revolverate in testa, di un qualcosa in più.






4- INCUBO SULLA CITTA' CONTAMINATA (1980) di U. Lenzi
Opera apocalittica e per molti versi lontana dal registro "romeriano" dei film di zombie, è una delle più belle prove di regia di Lenzi, che qui abbandona il suo cinema cannibale e si dedica ad un fanta-horror di grandissima qualità. Rivalutato in tempi relativamente recenti, è spesso citato dagli autori americani come grande punto di riferimento ed è alla base sia di moderni horror che di film più fantascientifici come 28 giorni dopo.





5- LA TERRA DEI MORTI VIVENTI (2005) di G. A. Romero
Quarto capitolo della saga, e uno dei migliori sotto tutti i punti di vista: dalla trama ricca di venature politiche e ispirata dalla grande tradizione anarchica del cinema indipendente americano, ad un cast unico (da Asia Argento a Dennis Hopper, sono tutti perfetti). I morti viventi ormai hanno conquistato il mondo, così come Romero si conferma il miglior regista di film di zombie del mondo, anche una volta che si è convertito agli effetti digitali.





6- RE-ANIMATOR (1985) di S. Gordon
Sebbene consigliato solo ai veri fan dello zombie-movie, Re-animator è uno dei punti fermi del cinema horror anni '80. Originalissimo e avanti anni luce agli slasher di seconda categoria dell'epoca, è diventato un cult-movie solo presso certi appassionati. Ai più è sconosciuto: ma i più, anche in questo caso, si perdono l'ennesimo, piccolo capolavoro.






7- PAURA NELLA CITTA' DEI MORTI VIVENTI (1980) di L. Fulci
Come è stato giustamente scritto su Nocturno, <<non amare questo film equivale a non aver capito l'horror degli anni ottanta>>. E, in effetti, chiunque si professi un amante dell'horror (in particolare di quello di zombie) dovrebbe vederlo almeno una volta. E sicuramente non sarà l'ultima. Un film bellissimo, incomprensibile solo agli italiani.






8- PLANET TERROR (2007) di R. Rodriguez
Realizzato come secondo segmento del progetto Grindhouse, non è il più riuscito fra i film di Rodriguez, ma è uno di quelli che sembra invecchiare meglio, fra effetti speciali sublimi, attori azzecatissimi e di prim'ordine, personaggi da fumetto underground e una colonna sonora da incubo (nel senso buono). Un film folle, ma di una follia genuina e in certi punti geniale.







9- SURVIVAL OF THE DEAD-L'ISOLA DEI SOPRAVVISSUTI (2009) di G. A. Romero
Nel realizzare (con una produzione fieramente indipendente e genuina) il sesto e attualmente ultimo capitolo della saga più famosa del cinema di zombie, Romero prende in mano la trama de Il grande paese (1958) di William Wyler e la inzeppa di morti viventi. Già dai titoli di testa, si capisce che andiamo incontro all'ennessimo grande film. Sebbene presentato fuori concorso a Venezia, non ha mai visto l'uscita nelle nostre sale, ma solo nel mercato home video.


10- THE HORDE (2009) di D. Yahan e B. Rocher
Anche se in ritardo su americani e italiani, questi due giovani talenti francesi hanno qualcosa di interessante da dire sugli zombie. Lo fanno portando avanti un film molto poco horror e intriso di elementi action e thriller. A parte un paio di cadute di stile qua e là, il film è ben fatto e si rivela essere una delle idee gradevoli dell'era "zombie 2.0". Criticato male in Italia, dove un pubblico simile ad un gregge di pecore gli preferisce Resident Evil.






10 FILM CHE SANCIRANNO LA MORTE DEI MORTI VIVENTI
1- VIRUS- L'INFERNO DEI MORTI VIVENTI (1980) di B. Mattei
Visto che Michael Bay non ha mai girato un film di zombie, non abbiamo potuto inserire alcuna sua opera in cima alla lista del brutto. Ma per fortuna abbiamo quel cane di Mattei, che decise di cavalcare l'onda di fine anni '70 per dedicarsi a questo orripilante pastrocchio, dove dimostra non solo di non essere veramente in grado di regalare un minuto di decenza allo spettatore, ma di non sapere neanche copiare da tutti quei maestri più in gamba di lui. Più che una brutta copia, è una copia venuta male di una brutta copia.


2- LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI (1990) di T. Savini
Tom Savini è con tutta probabilità uno dei più geniali truccatori e curatori di effetti speciali che il cinema horror ricordi: a fianco di Romero come di molti altri, attore in numerose pellicole di serie B ma anche di serie A (l'ultima, tanto per dire, era Django Unchained), Savini ha codificato l'aspetto estetico dei morti viventi. Ma non dategli in mano una cinepresa, perchè il risultato sarebbe questo ignobile remake del capolavoro originario di Romero. Una mancanza di rispetto inattesa. Un po' come se Gesù avesse bestemmiato.




3- L'ALBA DEI MORTI VIVENTI (2004) di Z. Snyder
Tanta carne al fuoco per l'esordio su grande schermo di Zack Snyder, paladino dello schifo che sta per tornare all'attenzione del cinema col suo ultimo L'uomo di acciaio. Ecco, questo suo primo film era già esemplare, e poteva bastare come scusa per non fargli più girare alcun film. Inspiegabilmente presentato al 57° festival di Cannes.






4- RESIDENT EVIL- RETRIBUTION (2012) di P. W. S. Anderson
Una classifica di film sugli zombie brutti potrebbe essere riempita, per metà, solo dall'intera saga di Resident Evil, ma noi siamo originali e, al contrario della maggior parte dei nostri coetanei, abbiamo visto anche altri film del genere. E proprio per questo possiamo sancire che di cinque film mediamente brutti (il primo è l'unico salvabile), l'ultimo in ordine cronologico è indubbiamente il peggiore. Quasi due ore di cazzotti, effetti speciali e fica. La fica è ovunque, va bene. Basta cercarla, anche su internet, accedere ai siti porno giusti. Molto meglio che guardare questo Retribution.




5- CITY OF THE DEAD- LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO (2006) di D. Stinnett
La morte non viene tanto dallo spazio, quanto dalle mani del regista Stinnett, impegnato a sancire la morte del cinema di zombie incrociato con una sottile vena politico-satirica. Peccato perchè l'idea dei barboni trasformati in zombie e delle gang di neri che danno loro la caccia poteva essere originale. Ad ogni modo, rimontandolo e aggiungendo un paio di cose, potrebbe essere un ottimo spot elettorale della Lega.




6- AFTER DEATH-OLTRE LA MORTE (1988) di C. Fragasso
Fragasso non vorrebbe, ma proprio non ce la fa: non riesce a celare la propria incapacità neanche per dieci minuti. Così si lancia nella regia di un sequel apocrifo di Zombi 3, prodotto dal fido Mattei. Sebbene gli anni '80 siano pieni di spazzatura gratuita a sfondo zombie, questo After Death (conosciuto con altri quindici titoli) supera i limiti di velocità massima della merda e mira forse ai confini delle più lontane galassie fecali.




7- DIMENSIONE TERRORE (1986) di F. Dekker
Vorrebbe essere un ibrido fra film di zombie e parodia di film di zombie. In realtà è una grande cialtronata senza capo nè coda, dove i rimandi trash non fanno la gioia di nessuno, ma si limitano ad essere insulsi. Come del resto, l'intero film. Delude tutti, e in particolar modo i fan di Fred Dekker, figura fuori dagli schemi e un po' dimenticata.






8- LE NOTTI DEL TERRORE (1981) di A. Bianchi
Gli zombie non hanno anima, o almeno questo emerge dal 99% della filmografia su di loro. Ma, solo in questo caso, gli zombie hanno più anima del film che li vede protagonisti. Un maldestro incrocio fra le ambientazioni di Indiana Jones, i cannibal-movie di Deodato e i film Hammer. Definirlo vergognoso è fargli un complimento.






9- IL CERVELLO DEI MORTI VIVENTI (1972) di P. Sasdy
Gli inglesi (e fra questi, sir Christopher Lee in particolar modo) sanno fare molte cose, ma i film sugli zombie no. Questa pellicola nata male e invecchiata peggio ne è la palese dimostrazione. Per quanto infinitamente più piacevole dei vari Resident Evil, è di una noia mortale.







10- ZOMBIEGEDDON (2003) di C. Watson
Siamo dalle parti dell'Asylum, solo che non è un Asylum. Questo crossover fanta-porno-horror funziona bene finchè rimane nell'ambito del porno, ma come tenta la carta del fare paura fallisce miseramente. Quasi simpatico nella sua bruttezza.



mercoledì 22 maggio 2013

Se Robison Crusoe fosse vivo, ascolterebbe musica Ambient [Extra]

Da qualche parte, nel mondo, qualcuno avrà orgogliosamente trascorso almeno un sabato sera a letto ad ascoltare l'album Space (1990) di Jimmy Cauty. Chiunque egli sia, gli voglio bene e lo sento, in un modo o nell'altro, vicino. Lo dico perchè anch'io, a lungo, ho vissuto così, uscendo di rado e in solitudine, preferendo lo spazio ovattato e sicuro della mia camera alle mondanità dello spazio esterno. Probabile che fossi depresso: ma del resto, a neanche diciott'anni, senza più amore e buoni voti a scuola ci si sente perduti e con una grande voglia di starsene da soli. Tuttavia, una parte di me è sempre stata ingenuamente predisposta alla socievolezza e alla compagnia, e questa rischiava di prevalere in un momento dove essere socievole sarebbe risultato inopportuno. Così, sperimentai il contrario di ciò che viene fatto solitamente: ricercai delle distrazioni per isolarmi. 
Verso la tarda primavera del 2007 iniziai a dormire poco e ad uscire tutte le sere. Armato di lettore cd, facevo delle passeggiate che potevano durare dai venti minuti alle due ore, compiendo una sorta di itinerario del nulla che solitamente si concludeva o ad un autolavaggio aperto ventiquattro ore o nella parte medievale del mio paese. Il suono di cui il mio organismo sembrava avere bisogno era quello in grado di sintetizzare, con grazia, il lato più malinconico della musica e di unirlo ai ricordi, perlopiù recenti, di vita vissuta; il tutto senza far sì che la somma delle due parti desse luogo a panorami deprimenti. Era difficile, specie perchè la scelta dell'isolazionismo potrebbe apparire a priori deprimente. Il primo isolazionista- o almeno la prima persona in cui ho sempre intravisto le basi dello spirito isolazionista -è Robison Crusoe. Robinson Crusoe di Defoe è il primo romanzo inglese, oltre ad essere il primo, grande documento sull'individualismo radicale, una storia sulla sopravvivenza materiale e psichica di una persona normale che si ritrova isolata da tutto. Inoltre, se si pensa alle origini storiche e alle motivazioni sociali del libro borghese, scopriamo che il romanzo inglese era stato pensato principalmente per scacciare la noia. E il mio problema, all'epoca, era proprio la noia. Come ho già scritto, andavo in cerca di distrazioni, e più ne cercavo e più queste si rivelavano inefficaci; e così, a furia di aumentare le dosi, ero arrivato a controllare l'archivio degli SMS ogni quarto d'ora, a fumare non più quindici ma trenta sigarette al giorno, a trattenere la mia migliore amica al telefono non più venti minuti ma un'ora e mezza e a giocare a Snake II infrangendo record che fino a sei mesi prima avrei ritenuto impensabili anche solo da raggiungere. Al contrario di ciò che pensano certi "cervelloni" mondani, non ci si isola per supposta superiorità, ma ci si apparta autonomamente quando ci si accorge di essere esattamente come tutti gli altri, e dunque di non avere esperienze interessanti da scambiare o condividere con nessun altro. All'epoca, in pochi sembravano notare il mio cambio di rotta, e io ricambiavo con altrettanta freddezza e sincera indifferenza: del resto, molti miei amici e conoscenti erano ormai completamente immersi in rapporti cementati dal nulla e che, a lungo andare, nel nulla più totale si sarebbero conclusi. Se venivo invitato a dieci feste, non partecipavo a nove di queste, beccandomi talvolta dell'asociale. Ma l'isolazionista non è mai asociale: l'isolazionista coltiva il proprio niente in solitudine, senza volerlo condividere.
Con l'avvicinarsi dell'estate, la situazione peggiorò ulteriormente. Da una parte, ero libero dal dover sostenere il peso di socializzare ogni mattina con molta gente, dall'altra ero subissato di inviti e offerte vacanziere. Li rifiutai quasi tutti e scelsi giusto le mete e le compagnie che più si avvicinavano alla mia idea di buen retiro: una settimana dalla mia migliore amica, una settimana dal mio migliore amico. Allora come adesso, vivevo già in netto contrasto con una certa massificazione mentale di area sinistroide, quella che ti obbligava a farti piacere i viaggi spirituali, la pizzica salentina, i dischi unplugged e l'ipocrisia. Dunque non avevo bisogno di valigie e biglietti, e mi sarei fatto bastare la mia cameretta, una sorta di grotta intima e mediatico-mentale dove avrei principalmente scritto e ascoltato musica in grado di scagliarsi con prepotenza contro la forma-canzone. Passai la notte di ferragosto a guardare le stelle, con Timeless di Goldie sparato a tutto volume nelle cuffiette, a pensare che chiunque vedesse proprio nella notte l'unico momento poetico della giornata fosse un imbecille (e di questo sono convinto tuttora). Amo anche adesso il primo disco di Goldie, un autore destrutturalista che aveva eletto la jungle come proprio territorio di sperimentazione- nonostante si trattasse di un genere ancora da codificare -e i cui album successivi sarebbero risultati molto meno riusciti. Così come il più leggero e "solare" Moon Safari degli Air accompagnò certi miei intimi aperitivi marittimi, e alcuni brani sparsi di Jeff Mills (molti di questi erano estrapolati dal capolavoro Lifelike) fecero da colonna sonora alle calde notti di fine luglio. Tutti i più grandi artisti che si dichiaravano o che io consideravo dei veri isolazionisti finirono con l'essere ammessi in una virtuale agenda sonora giornaliera: al mattino quasi tutto Moby (escludevo i pezzi più house, che non mi sono mai andati giù), seguito a ruota da Luke Vibert e Mike Paradinas; inoltre, mettevo su spesso It's Tomorrow Already dei The Irresistible Force e Chill Out dei KLF. Gli ascolti pomeridiani erano selezionati in base all'umore: dunque, se ero "nero" cercavo la velocità di Squarepusher e la disumanizzazione degli Autechre, ma se ero più disteso optavo per i Plaid, i Future Sound Of London, i Sabresonic e i Two Lone Swordsmen. La notte era il momento ideale per un disco come Bytes dei Black Dog, una delle prime opere di techno sperimentale, oppure per alcune compilation "estreme" contenenti brani degli Orb o di Nightmares On Wax. Aphex Twin era l'unico ad essere sempre presente: mattina, pomeriggio e sera, per il semplice fatto che era (ed è) un genio. Inutile dire che, come tutto il resto, non condividevo quasi con nessuno certi ascolti, un po' perchè non volevo, un po' perchè a molti una canzone come Windowlicker faceva schifo. Si trattava perlopiù di individui poveri di spirito, arroganti esponenti della cultura popolare anti-elettronica, mostri che oggi fumano tabacco trinciato scadente e bevono pessima birra in pessimi centri sociali, emettendo rantoli contro una civiltà vuota, fredda, disumana, elettronica, capitalista. Io, al contrario, non ho perso mezzo brano degli artisti finora citati, ma riconosco che oggi, salvo rare eccezioni, ascoltare un disco come Selected Ambient Works vol. II non mi suscita più le emozioni del 2007. Rimane un capolavoro e uno dei più bei dischi del XX secolo, ma sono i miei orecchi che forse sono cambiati. A lungo ho pensato che questa musica mi avrebbe accompagnato per sempre, cullando il mio ego ferito, ma non è stato così: allora credevo che certi brani servissero a custodire il mio sogno di solitudine, e ci sono riusciti. Quando però mi accorsi che dovevo lasciare le isolate e remote stazioni lunari per fare ritorno sulla Terra, mi fu chiara la più grande e importante lezione dell'isolazionismo: alla fine di tutto, l'importante è rimanere umani.



martedì 21 maggio 2013

[Recensione] La grande bellezza

Paolo Sorrentino ha detto due cose alla prima del suo nuovo film, una giusta e l'altra sbagliata. Quella giusta è stata: <<Il cinema italiano dovrebbe essere migliore, ha grandi autori e trovo stravagante che lo si critichi sempre a priori>>. Niente di più vero, specie se si pensa che chi critica il cinema italiano spesso non vede film italiani, e, nei casi più disperati, neanche ha mai visto film italiani belli o ha una vaga idea di cosa siano. Tuttavia, cascano le braccia (e non solo quelle) quando andiamo a vedere un po' di cinema nostrano spacciato per "autoriale": nel mio caso, penso a registi come Ozpetek, Giordana, Garrone o Bellocchio; le opere di questi tizi mi lasciano perplesso e rimango schifato da chi si prostra ai loro piedi, inneggiando ogni volta al "capolavoro", termine usato sempre più spesso e sempre più a sproposito. In compenso, Sorrentino commette un errore quando conclude il proprio intervento dicendo che <<La dolce vita era un capolavoro, questo è solo un film>>. Sbaglia. Sbaglia di grosso.
La grande bellezza è un capolavoro, ed è, con tutta probabilità, l'unico autentico capolavoro del nostro cinema approdato in sala negli ultimi vent'anni. Il fatto che sia l'unico film italiano in concorso a Cannes, il fatto che sia stato accolto molto bene, il fatto che possa davvero vincere la Palma è secondario: La grande bellezza è un film che si fa una volta nella vita. Sorrentino, che finora (al contrario di maestri come Fellini, Bertolucci, Monicelli, Antonioni, Olmi, Visconti o Rossellini) non ha mai girato un film brutto, può dirsi "arrivato" come autore. Lui stesso ha parlato tanto e a lungo di questo film, che lo ha praticamente risucchiato per due anni, definendolo per primo come il suo lavoro più importante, quello per tanti versi "definitivo", senza sbavature o ripensamenti. Finora, aveva raggiunto la massima espressione artistica con Il divo, la <<mascalzonata>> su Andreotti di cui tanto si è parlato anche nelle ultime settimane, ma qui, vuoi per il brusco cambio di genere e stile (anche rispetto al più recente e un po' meno riuscito This Must Be The Place), vuoi per l'alone misterioso che ha avvolto la trama del film fino a pochi giorni fa, siamo proprio su un altro pianeta. Tutto è semplicemente perfetto, dalla messa in scena di questa decadente e folle città eterna popolata da individui che si sono appena resi conto della propria mortalità alla scelta della colonna sonora, dalla bravura di Servillo e Verdone all'eleganza con cui la macchina da presa scivola, fora, penetra la "grande bellezza" della città. Calza molto poco il parallelismo con Fellini, visto che il maestro riminese "onirizzava" parecchio la capitale, giocandoci e mostrando l'aspetto più surreale del boom economico; Sorrentino invece prende Roma e la "idealizza", popolandola di individui che stanno per scomparire, inquadrando queste meravigliose terrazze su cui sta andando in scena l'estinzione di una civiltà cafona, ipocrita e insensibile.  L'unico che potrebbe davvero cavarsela, alla fine, è proprio il protagonista Jep (Servillo), un tempo scrittore di successo, ora disilluso e ricco giornalista mondano, cinico, spietato ma anche incredibilmente sensibile, come lui stesso ammette all'inizio. I personaggi che lo circondano, dalla triste spogliarellista sul viale del tramonto Ramona (una Sabrina Ferilli semplicemente perfetta) all'ingenuo e romantico autore teatrale Romano (un Verdone eccezionale nel suo ruolo drammatico), o muoiono o abbandonano Roma. Alla fine, la vera protagonista del film è proprio lei, Roma, la città eterna, costretta a convivere con i suoi sgraditi ospiti, e cioè gli esseri umani: Jep è solo il meno peggio dei suoi abitanti,  è un individuo che dopo il primo, romantico libro pubblicato a venticinque anni, vorrebbe scriverne un secondo, quello sulla maturità, sulla paura di non essere eterno, sulla disillusione dell'età adulta. 
In poche parole, non è semplice parlare di tutto quello che questa grande opera d'arte contemporanea affronta, delle sue microstorie, dei suoi simboli, ma una cosa è certa: è un film di grande bellezza, ma di quella che lascia senza fiato. 

Fino alla fine del mondo, ovvero prontuario del cinema catastrofico [Ombre elettriche]


PREMESSA

La fin du monde (1931),
capostipite dei disaster-movies.
After Earth, nuova americanata
di genere in arrivo fra pochi mesi.
After Earth, ultima "fatica" fantascientifica targata da Shyamalan (noto, a causa dell'ottimo Il sesto senso, per essere passato alla storia come uno dei registi più sopravvalutati del mondo) ha tutte le caratteristiche dell'escremento già dal trailer e dal poster. La prima cosa su cui dobbiamo puntare l'indice è il fatto che non solo Will Smith sia il protagonista (questo attore è talmente imbranato da poter diventare il Vin Diesel di colore), ma che addirittura suo figlio Jaden lo affianchi in questa storia ambientata in un lontano futuro post-apocalittico. La seconda cosa da condannare al soggetto del film viene di conseguenza: c'è stata l'Apocalisse ma tanto per cambiare qualcuno si è salvato. 
E noi non ne possiamo più dei film catastrofici dove le persone si salvano e c'è il lieto fine. Odiamo questi film e pensiamo che se porti avanti una catastrofe, questa debba andare fino in fondo e mettere fine all'umanità. Tuttavia, esistono anche delle eccezioni (il grande Abel Gance aveva già optato per l'happy ending nel 1931, quando girò La fine del mondo) , ma vediamo meglio nella nostra classifica. Buona lettura.

10 INDIMENTICABILI CATASTROFI

1- 28 GIORNI DOPO (2002) di D. Boyle
Il quinto lungometraggio dell'inglese Danny Boyle è uno dei suoi film meglio riusciti, un ibrido fra horror, dramma sociale e disaster-movie realizzato in uno stile unico. Inquieta, ipnotizza, fa pensare.







2- THE DAY AFTER TOMORROW (2004) di R. Emmerich
Emmerich è un mediocre regista, è vero, ma questo The Day After Tomorrow è non solo il suo unico film riuscito, ma uno dei migliori disaster-movie della storia del cinema. L'effetto speciale trova stavolta delle valide giustificazioni ed è al servizio di una trama che invita lo spettatore a riflettere.







3- TERREMOTO (1974) di M. Robson
Ben poco ha da invidiare- in quanto ad effetti speciali -questo storico film interpretato da Charlton Heston e Ava Gardner, prigionieri in una Los Angeles rasa al suolo da un terremoto. Negli USA, fu proiettato sperimentando il nuovo sistema Sensurround, che grazie alle basse frequenze trasmesse nelle scene del terremoto, faceva tremare le poltrone e simulava le scosse. Mitologico.






4- LA CITTA' VERRA' DISTRUTTA ALL'ALBA (1973) di G. A. Romero
Romero lascia in pace i suoi zombie per dedicarsi a questo film catastrofico, dove non ci sono glaciazioni, surriscaldamente, vulcani e terremoti, ma solo una micidiale arma biologica in grado di estinguere la razza umana. Finale pessimista e disincantato per questo capolavoro anarchico fra i più amati dallo stesso Romero.





5- L'ULTIMA SPIAGGIA (1959) di S. Kramer
Un film semplicemente terrificante. La storia angoscia, il cast (su tutti, la Gardner e Perkins) è un qualcosa di perfetto, la fotografia di Rotunno incanta, Kramer dirige con una maestria oggi rara uno dei suoi più grandi film. Lo si potrebbe vedere venti volte, e tutte e venti le volte vi si troverebbero particolari che alla visione precedente ci erano sfuggiti.







6- VIRUS- ULTIMO RIFUGIO: ANTARTIDE (1980) di K. Fukusaku
E' il maestro Fukusaku a firmare quello che, nel 1980, risultò essere il più costoso film giapponese mai girato. Del resto, si avvale di effetti speciali che ancora oggi lasciano a bocca aperta e di un cast anglosassone di buon livello. Peccato solo che la versione DVD disponibile in Italia sia montata diversamente dall'originale nipponica e americana. Ad ogni modo, straconsigliato.





7- DISTRUGGETE LOS ANGELES! (2002) di J. Seale
Ben poco si può dire a questa piccola produzione, che ha il pregio di divertire e coinvolgere, rimpiazzando con l'umorismo i mezzi tecnici tipici dei kolossal del genere. Alla fine, viene fuori un disaster-movie originale, piacevole e affatto scontato.







8- PIANETA TERRA: ANNO ZERO (1973) di S. Moritani
Dalla Toho (storica produttrice dei vari kaiju movies), arriva un'opera maxima di angoscioso realismo e largo respiro (140', ridotti negli USA a 90'). Una perla del cinema di genere orientale che per fortuna è possibile reperire anche per l'home video.







9- VULCANO: LOS ANGELES 1997 (1997) di M. Jackson
Per quanto misero a livello di trama e dialoghi, il più celebre disaster movie di fine anni '90 tiene incollati alla sedia o alla poltrona per tutta la sua durata. Tommy Lee Jones spicca non tanto per la sua bravura, quanto per l'incapacità di tutti gli altri attori. Effetti speciali di altissimo livello firmati Lucas.







10- TWISTER (1996) di J. De Bont
L'uomo contro la natura, indomita e selvaggia. Nulla di più semplice e spettacolare. A coronare il tutto una colonna sonora firmata Van Halen che basta e avanza come motivo per vedere o rivedere Twister.








10 CATASTROFI CINEMATOGRAFICAMENTE CATASTROFICHE

1- ARMAGEDDON: GIUDIZIO FINALE (1998) di M. Bay
In cima alla lista non poteva che esserci lui, Michael Bay, tiranno del Brutto e paladino del cinema costoso e inutile. Il suo film più famoso è, immancabilmente, anche il più indecente, dove non si salva neanche I Don't Want To Miss A Thing, conosciuta anche da quei grezzi che non hanno idea di cosa siano gli Aerosmith. 









2- THE CORE (2002) di J. Amiel
Chiedetevi se vorreste mai far vedere un film simile ai vostri genitori. Se sì, vuol dire che dovete davvero odiarli molto. Praticamente, è un Armageddon al contrario.







3- ORMAI NON C'E' PIU' SCAMPO (1980) di J. Goldstone
<<Ormai non c'è più scampo!>>: oltre al titolo di questa porcheria, è l'esclamazione di uno spettatore normale dopo appena 20 minuti di proiezione. Da evitare accuratamente.








4- ATTACCO GLACIALE (2010) di B. Trenchard-Smith
Uno dei più recenti disaster-movie è anche uno dei peggiori. Girato in Tasmania con pochi soldi, ha investito molto sull'effetto speciale, ben curato ma ridotto ad una semplice guarnizione. Si può buttare una fragola in un piatto di merda, ma è comunque merda quella che mangiamo.






5- DEEP IMPACT (1998) di M. Leder
Di tutte le produzioni di Spielberg, Deep Impact raggiunge veramente i livelli più bassi. Quando poi i personaggi si abbandonano a monologhi patriottico-filosofici, aumenta la voglia di farla finita, una volta per tutte.









6- E VENNE IL GIORNO (2008) di M. N. Shyamalan
Sospeso fra Matheson, King e Independence Day, questo film apocallitico segna l'ennesima tappa bruciata nella carriera del regista del Sesto senso, che, non pago di fallimenti fantascientifici, sta per tornare con After Earth.








7- CITTA' IN FIAMME (1979) di A. Rakoff
Maldestro tentativo canadese di emulare i disaster-movie hollywoodiani degli anni '70, con un occhio agli effetti speciali e l'altro al contenuto ecologico. Rakoff ci prova, ma fallisce miseramente: Città in fiamme è veramente un'operetta ridicola.







8- DEEP CORE 2000 (2000) di R. McDonald
Ancora terremoti. Ancora scenari apocalittici. Ancora militari salvatori della patria. Un film inutile e giustamente dimenticato. 








9- SUNSHINE (2007) di D. Boyle 
Anche i bravi possono sbagliare, e Danny Boyle non è a suo agio nello spedire sul Sole i suoi astronauti. Per quanto la regia e gli effetti siano efficaci, non sono purtroppo controbilanciati da trama e personaggi.








10- METEOR APOCALYPSE-PIOGGIA DI FUOCO (2010) di M. Rutare
La Asylum produce e distribuisce questo sci-fi ben curato a livello tecnico (ben curato per gli standard Asylum, si intende), il cui pregio è uno e uno soltanto: muoiono tutti.