mercoledì 27 aprile 2016

Diamanti, ruggine e un semplice scherzo del destino [Extra]


La sera del 27 aprile 1975 c'era la luna piena e Bob Dylan telefonò a Joan Baez. Voleva sfogarsi, parlarle della burrasca familiare e sentimentale che lo aveva investito per buona parte dell'anno precedente e del divorzio dalla moglie Sara. Ma non solo: le disse che aveva delle nuove canzoni fantastiche, che sarebbe tornato a vivere a New York quanto prima, che avrebbe iniziato ad incidere nell'estate e che aveva sognato una gigantesca carovana di zingari, cowboys e rockers che avrebbe girato in lungo e in largo gli Stati Uniti. 
A Joan, sulle prime, sembrava di essere al telefono con un fantasma, poi si sedette e appoggiò la mano sull'apparecchio con su stampato il simbolo della Bell Telephone Company. Le riaffiorarono immagini, sensazioni, ricordi che in quel momento sembravano vecchi anni luce. Chiese a Bob- con una punta di ironia dolceamara -se la stesse chiamando da una cabina telefonica del Midwest, ma lui o non capì, o non volle rispondere. Ne era passato di tempo da quando la Baez, già una stella del folk, presentava quel ventenne timido al fitto pubblico dei club del Village e, nel farlo, lo apostrofava con appellativi sempre diversi: una volta era il "genio che non si lava mai", un'altra "il bizzarro giramondo", e così via. La loro storia d'amore era stata breve, spontanea e importante, vissuta lontano dai riflettori e tenuta il più possibile lontana da sguardi indiscreti. 
Mentre Bob continuava a parlare lodando i corsi di pittura del suo ultimo guru Norman Raeben, Joan posò gli occhi sul calendario appeso sulla parete della sua cucina. Erano già passati dieci anni da quando aveva regalato a quel giovanotto "con gli occhi più azzurri delle uova del pettirosso" una coppia di gemelli. Lo stesso giovanotto che, all'epoca, le aveva donato a sua volta qualcosa, anche se in quel momento la sua memoria fece cilecca e non ricordò, con esattezza, cosa. Se lo immaginò comunque in piedi, con le foglie gialle che gli  ricadevano ai piedi, la neve sui capelli mossi e un sorriso di amore ardente stampato sul volto. Pensò che entrambi sarebbero potuti morire là e allora, ma fu solo per un attimo, prima di tornare al presente.
Si schiarì la voce e senza far trapelare alcuna emozione chiese se lo spettacolo itinerante che Bob avrebbe voluto intraprendere non fosse soltanto la proiezione di un malinconico sogno, ma lui rispose fermamente che non si trattava di un'operazione-nostalgia. Le suggerì di meditare, poi cadde il silenzio e Joan rimuginò su questa idea. Sapeva che Dylan era estremamente abile sia nel maneggiare le parole che nel restare sul vago. Si guardò indietro e sentì la tempesta avvicinarsi. Altri ricordi avrebbero rischiato di portare solo diamanti e ruggine, e lei aveva già saldato il conto tempo prima. Disse che ci avrebbe pensato e lo salutò.
Al termine della telefonata, vagò per alcuni minuti attraverso le molte camere della sua villa di Zuma Beach e rifinì in salotto, dove estrasse da una pila di vinili un long playing dalla copertina color bordeaux. Era Blood On The Tracks: lo aveva comprato a gennaio, ma era ancora avvolto nel cellophane. Per quattro mesi aveva sofferto di una sorta di inesplicabile repulsione nei confronti di questo album che i più avevano salutato come un nuovo, grandioso capolavoro. Lei che conosceva bene il continente della fantasia da dove provenivano quelle dieci cronache di amori sbocciati e finiti, di rimpianti, di sofferenza e di teso lirismo ne era affascinata e impaurita. La stampa ne aveva parlato come di un disco forte e puramente incentrato sui sentimenti, ma Joan sapeva che depositato su quei solchi, oltre al sangue, c'era ben altro. 
A metà di Tangled Up In Blue, si sentì egoisticamente chiamata in causa dal verso in cui Dylan cantava <<Ci dividemmo in una notte buia e triste,/ sapevamo che era la cosa migliore/, Lei si voltò a guardarmi e mi disse "Ci rivedremo sulla strada">>, ma le lacrime, quelle vere, arrivarono su Shelter From The Storm, in cui il protagonista veniva da una vita di fatiche e di stenti e incontrava questa ragazza disposta ad offrirgli un riparo dalla tempesta. Era lei la donna con i bracciali d'argento sui polsi e i fiori nei capelli?
Tolse la puntina prima del finale di Buckets Of Rain. Niente più diamanti o ruggine, niente più semplici scherzi del destino. Per lei, Blood On The Tracks, la musica, l'arte e perfino la vita potevano finire con la voce di Bob che descriveva la Bellezza camminare sul filo del rasoio, dichiarando che un giorno la avrebbe fatta sua. 
E che più di tutto avrebbe voluto viaggiare indietro nel tempo, fino al momento in cui Dio e Lei nacquero.

giovedì 21 aprile 2016

I Guns N'Roses a Città del Messico per due sere di fila [Extra]

Le prime date estere del Not In This Lifetime Tour sono fissate al Foro Sol Autodromo Hermanos Rodriguez di Città del Messico. Come band di apertura per le serate del 19 e 20 aprile vengono reclutati i Cult (o quel che ne resta) e viene perfino realizzato un manifesto che cerchi di incorporare equamente i due gruppi. Non è che ci sia riuscito molto, visto che sembra la locandina di una mostra di fiori in cui l'idea di "roses" è giusto appena accennata.
I Guns arrivano in Messico il 18 aprile e vengono accolti con il calore che il pubblico latino-americano è sempre stato solito dimostrare al gruppo. Con ogni probabilità, il pubblico dell'America Centrale e del Sud-America è il miglior pubblico rock in assoluto, seguito a ruota da quello dei paesi mediterranei. L'intensità, la partecipazione, il groove e la simbiosi con la musica suonata sul palco dimostrati da queste popolazioni sono- a detta di molti artisti -valori irripetibili in altri paesi.
La band arriva a Città del Messico


In molti continuano a pensare ai Guns N'Roses come alla band di Appetite For Destruction, il disco che fotografa gli alfieri del movimento street-metal di Los Angeles nella seconda metà degli anni Ottanta. Di conseguenza, in tanti continuano a riferirsi a questi concerti odierni come ad una reunion che ripropone il materiale di fine anni Ottanta. Ma non c'è nulla di più falso: e i due concerti di Città del Messico lo hanno dimostrato. I Guns si stanno rivelando una delle poche formazioni di hard rock americano definitive. In trentuno anni potranno avere inciso poco più di un pugno di dischi in studio (come, a loro tempo, fecero i Grateful Dead, del resto), ma hanno girato il mondo on tour senza quasi mai fermarsi, e potrebbero continuare per chissà ancora quanto.
In Messico l'importanza dei GNR è pari a quella del tricolore nazionale
Con l'avvento di internet e nell'era YouTube, la vita di un appassionato come me è stata molto semplificata. Grazie ai video di ottima qualità che sono andati moltiplicandosi nel corso degli anni, è stato molto semplice seguire il gruppo a giro per il globo, ascoltarne i brani e osservarne l'evoluzione. 
Tanto che, a furia di ascoltare bootleg ed esibizioni live, la voglia di aggiungere show nuovi a quelli che già conoscevo si è affievolita, perché, ovviamente, molto spesso si trattava di concerti di elevato livello ma non troppo diversi gli uni dagli altri. E se ultimamente potevo ritenere difficile dire quale concerto dei Guns valesse ancora la pena di ascoltare per intero da cima a fondo, le due date di Città del Messico hanno rappresentato la degna risposta. Queste due serate, entrambe trionfali ma pure molto diverse, entreranno a far parte della recente leggenda della band quanto quella del 1° aprile al Trobadour.

Slash in visita al museo del giocattolo
La scaletta della prima sera non sembra celare sorprese di sorta; più o meno lo stesso repertorio già ripetuto a Las Vegas e al Coachella, due pezzi in meno, però quanta energia in più. Sia sopra che sotto il palco, le note scorrono torrenziali. Slash è un leone, Duff canta i suoi pezzi con la rabbia di un vecchio punk-rocker, Axl è ancora incazzato per la sua gamba e ruggisce dall'alto del suo trono, sdondellando e ridacchiando della propria condizione. Ricompaiono le tre stelle rosse con le due spighe ai lati, tipiche della Chinese Democracy era, certamente, ma sempre parte essenziale del patrimonio simbolico del gruppo. Al posto di quella di novembre, su Città del Messico viene giù un'afosa pioggia di aprile.
Lo show del 19 aprile lascia spazio a quello, principesco, della sera seguente. Si apre con una tirata It's So Easy, che si fonde quasi senza soluzione di continuo nel potente wahwah di Mr. Brownstone. Segue Chinese Democracy, su cui ormai Slash gioca e si diverte come un neonato con un bambolotto nuovo di pacca e poi ancora Welcome To The Jungle, Double Talkin'Jive, Estranged, Live And Let Die, Rocket Queen, You Could Be Mine e le due consuete covers di Duff. This I Love lascia spazio ad una definitiva There Was A Time. Per chi non lo sapesse, There Was A Time è il brano di punta di Chinese Democracy, nonchè una delle dieci canzoni migliori dei Guns. Contiene il più rovente, interminabile, torrenziale assolo di chitarra che io abbia ascoltato negli ultimi vent’anni, uno di quelli che distinguono indelebilmente il popolo dei fighetti da quello dei rockers: se appartenete al secondo, non potete evitare di contorcervi agitando le dite sul manico di qualsiasi oggetto vi troviate a portata di mano, non importa chi vi stia guardando in quel momento. E, come se non bastasse, alla Les Paul di Slash fa seguito un maestoso lavoro di effetti elettronici curati da Melissa. 

Anche buona parte del secondo set non contiene sorprese o modifiche, ma la bellezza delle esecuzioni è impareggiabile. Le canzoni suonate il 20 aprile a Città del Messico sono tutte bellissime. Non solo bellissime come già le conosciamo (anche perché, bene o male, sono tutti standard della band) ma perché eseguite con una classe e una poesia rare persino in un gruppo di questo livello. Canto, assoli, chitarre sono da brivido. E Frank Ferrer è il migliore batterista che i Guns abbiano mai avuto.
Un'altra strepitosa sorpresa di questa serata arriva nei bis. Dopo Dont' Cry e prima di avventurarsi nel repertorio degli Who con The Seeker, i Guns tirano fuori una gemma e non una qualsiasi. Yesterdays era stata sempre suonata poco in concerto (l'ultima volta nel 1993) e Axl non l'aveva mai più voluta in scaletta. Un vero peccato, dato che si tratta di un altro capolavoro, una power-ballad scritta a più mani (West Arkeen, Del James e un certo Billy McCloud risultano i suoi co-autori) e pure immessa sul mercato come singolo nell'autunno del 1992. Scelta grandiosa e salutata con gioia dal pubblico sterminato dello stadio in cui si svolge l'evento. Con le note di Paradise City è davvero finita la grande avventura di questo 20 aprile messicano, bruscamente, e senza rimpianti. Tranne che per gli anni che sono passati prima di riuscire a vedere insieme questi ragazzi.
E così, mentre guardo le ultime immagini in streaming dallo stadio di Città del Messico riempito di persone in ogni centimetro quadrato per la seconda sera consecutiva, non posso fare a meno di domandarmi com'è che, dopo così tempo dall'acquisto di Appetite For Destruction, dopo gli innumerevoli pomeriggi passati a braccare e archiviare file contenenti rarità in studio, leaks e bootleg, dopo tutti gli ultimi valzer ballati sulle note dei due Use Your Illusion e dopo tutte le chiacchiere, i pettegolezzi e i rifiuti, io sia ancora qui e non dove ho sognato, e dove, francamente, avrei immaginato essere.

mercoledì 20 aprile 2016

I Guns N'Roses al Coachella (che continua ad essere una sagra dei luoghi comuni della West Coast di cui ci importa una sega!) [Extra]


Puntata numero due delle recensione dei concerti (rigorosamente non visti dal vivo) del Not In This Lifetime Tour dei Guns N'Roses.
Dunque, Indio è una ridente cittadina di 76.000 anime ubicata nella contea di Riverside ed è chiamata "City Of Festivals". Ci fanno di tutto, dai raduni nazionali di 4x4 alle mostre sui prodotti agricoli, fino al Coachella Music Festival, che dal 2001 permette a chiunque- anche a chi non ha mai comprato un disco in vita sua -di poter ascoltare della musica live. Il punto è: di che musica si tratta? Semplice: a volte è buona, a volte è mediocre. Dura tre giorni e il secondo giorno di questa quindicesima edizione il mainstage è spettato ai Guns. 
Quella del Coachella era stata la prima delle tre date comunicate dagli addetti stampa del gruppo a gennaio e i biglietti erano andati esauriti da un pezzo. Le prime foto del sontuoso palco hanno fatto capolino alcuni giorni fa sul profilo Instagram dell'ultima arrivata, Melissa Reese.
Dopodichè, sempre dal backstage, emerge un'immagine di Dizzy Reed e io continuo a farmi due fatidiche domande. La prima: perchè le foto ufficiali di Dizzy Reed sono rare come mosche bianche? La seconda: perchè Dizzy Reed non ha mai intrapreso una carriera solista, anche parallela ai Guns? E' un pianista di formazione blues ottimo, sfruttato bene ma solo parzialmente da Axl e non si è mai troppo prodigato neanche come turnista (di lui ricordo solo la presenza in Hammered dei Motorhead). Molti hanno sempre sostenuto che sia stato il membro dei Guns con la personalità più debole, nonchè l'unico ad essersi lasciato totalmente assoggettare da Axl durante il periodo Chinese. Per me, è sempre stato e rimane il Chuck Leavell dei Guns N'Roses.
Fra i tanti rumors che anticipano l'esibizione al Coachella, c'è quello che vuole sul palco un trono nuovo e completamente personalizzato destinato ad Axl. Ne viene diffusa una foto imbarazzante. Mi auguro che dopo lo show sia stato utilizzato come legna da ardere.
Un concerto al Coachella è sempre un avvenimento che fa gola a star hollywoodiane, gente di merda che per una sera l'anno si improvvisa hippy, uomini politici di area presumibilmente liberal, vecchie glorie dell'industria discografica e compagnia cantante. Inoltre, è uno di quei Festival in cui nessuno può fare un cazzo: niente superalcoolici, niente droghe, niente sesso, niente di niente. Al massimo, qualche lattina di Bud Lite e la visione- se si ha fortuna -di qualche ex-playmate. Ecco, va bene che per i Guns si fanno i salti mortali, ma andarseli a vedere in una cornice simile davvero potrebbe mettere tristezza. Anche se in mezzo a questo vergognoso tripudio di culi secchi e fiche di legno si potrebbe avere l'occasione di incontrare donne straordinarie come la vecchia fiamma di Axl, Lana Del Rey...
Lana Del Rey con un giubbotto che vorrei anche io (solo col mio nome)
... oppure come Courtney Love, che da picchiare Axl (a questo giro munito di maglietta nera dei Nirvana) nel backstage degli MTV Awards del 1992 è passata ad essere un ospite di onore dell'area VIP dei Guns. Inoltre, a fine serata si è ubriacata al party del dopo concerto ed è stata allontanata, fra bestemmie e mozziconi di "sigarette mai spente", per motivi di sicurezza. Che donna straordinaria! Qui sotto era in compagnia della sciacquetta Rihanna:
Massiccia la partecipazione dei premi Oscar. Alcuni graditi e intelligenti...
Leonardo "GNFNR" Di Caprio
... altri, invece un po' meno:
Due degli uomini più intelligenti d'America al Coachella.
Dopo il gossip veniamo alla musica, che, diciamocelo, non è stata il punto forte della serata. La voce di Ax, pur sovrastata dalle urla di un pubblico delirante che sembrava non avesse mai assistito a un concerto rock,  ha fatto cilecca più volte. Basso, tastiere e batteria "di routine". Chitarre ottime. Richard Fortus non è Izzy Stradlin, nè ha dimostrato- almeno fino ad oggi -di essere il miglior chitarrista ritmico che i Guns abbiano mai avuto, tuttavia anche al Coachella ha fatto prevalere cuore e bravura, suonando Wish You Were Here al meglio (sapete cosa significa suonare Wish You Were Here senza annoiare? ecco...).

Nessuna novità in scaletta fino al piatto forte della serata: Angus Young che irrompe sul palco mentre, contemporaneamente, sul web, l'ufficio stampa degli AC/DC confermava in via definitiva la sostituzione di Brian Johnson da parte di Axl Rose per le rimanenti date del Rock Or Burst World Tour. Sapete cosa significa? Significa che uno dei cantanti più schivi e meno prolifici della storia del rock, se ne starà a giro per Europa e Sud-America molto a lungo con una delle più grandi band di tutti i tempi. A scanso di equivoci, è stata suonata con Angus Whole Lotta Rosie nel modo in cui i Guns la suonavano nel 1985 e, subito dopo, Riff Raff. Dispiace doverlo ammettere, ma la Riff Raff suonata a L.A. il 21 dicembre 2011 (dunque agli sgoccioli del Chinese Democracy Tour) metteva i brividi, mentre quella del Coachella, al massimo, sarà ricordata per Slash e Angus Young, l'allievo e il maestro.
Come al Trobadour e nella seconda serata di Las Vegas, è rientrata la superba cover di The Seeker degli Who. Nessuna novità fra i pezzi estratti da Chinese Democracy e continuo a ribadirlo: peccato. Ma soprattutto- e forse è il caso di iniziare a chiederselo -che ne è di queste "nuove canzoni già registrate dal gruppo"? Che fine hanno fatto gli inediti che la band ha provato a gennaio? Possibile che l'unica outtake degna di essere rivelata in anni recenti fosse Going Down (2013), in cui Axl compare solo nei ritornelli? Che ne è di Atlas Shrugged, Seven, The General, Thyme, Ides Of March, Berlin, Zodiac, Quick Song, tutte canzoni citate già nel 2010 dal tour manager Irving Azoff come facenti parte del seguito di Chinese Democracy? Cosa è successo alla- dicono quelle dieci persone che hanno avuto modo di sentirla -stratosferica Down By The Ocean scritta con Izzy Stradlin?
Molto carina la t-shirt commemorativa dell'evento.
Delle due date di Città del Messico scriverò prossimamente. Devo ancora ascoltare i pezzi, leggere la scaletta e vedere qualche video e qualche foto. Il Coachella, che doveva essere un po' il culmine della fase iniziale della reunion, se ne scivola via "senza applausi o fischi". 
Tutto è stato detto, tutto è stato fatto. Oppure no? Sarebbe sorprendente che negli anni dieci a qualcuno riesca ancora di inventare uno spettacolo inedito? Forse sì. Ma se  questo spettacolo non lo inventano i Guns N'Roses, allora a chi tocca?

domenica 10 aprile 2016

"In the summertime, ah in the summertime... In the summertime, when you were with me..." [Extra]

Parto dal presupposto che in questo paese i concerti rock si tengano, ormai quasi obbligatoriamente, solo d'estate, con conseguenze ridicole e disastrose (una su tutte, ad esempio, è la sovrapposizione di più eventi). 
Approdo poi alla consapevolezza che se già i soldi scarseggiano, io non ho nemmeno troppa voglia di togliere linfa vitale alle mie limitate finanze per metterla nelle tasche di: multinazionali già abbondantemente ricche, comuni che si rivelano sempre meno in grado di organizzare eventi all'altezza del prezzo per essi richiesto, sponsor vergognosi e in certi casi perfino immeritevoli di essere nominati, e, solo da ultimo, di artisti per cui posso anche nutrire stima profonda e un po' di amore.
Fra la "robba" in vista quest'estate, un invito- subito declinato -per gli Iron Maiden al Rock In Roma (24 luglio) è stato solo l'inizio.
Anche io, sulle prime, accarezzo il sogno erotico del Boss che con la E Street Band proporrà tutto The River a San Siro il 3 e il 5 luglio, ma per dirla con Luigi Tenco, <<i sogni sono solo sogni, e l'avvenire ormai è quasi passato>> e quando certi sogni partono da 130€, a me rimangono subito sulle palle. 
Poi emerge un qualcosa di ben più vicino e allettante: Neil Young che sbarca al Lucca Summer Festival il 16 luglio. Ottimo e vicino. Mi informo, leggo, poi ripenso ed emergono tre "ma": 
1) "ma" fa quasi tutto The Monsanto Years (album che a me proprio non è piaciuto).
2) "ma" è con i Promise Of The Real, la band di accompagnamento che in tutta la sua carriera forse mi ha convinto meno.
3) "ma" 60€ per una location come Piazza Napoleone non saranno troppi? Ho un paio di amici che sono andati a vedere- con l'adeguata devozione, ci mancherebbe -Bob Dylan proprio lì l'estate scorsa e mi hanno garantito che quella Piazza non sarebbe valsa nemmeno la metà dei soldi del biglietto (per lo zio Bob, 90€). I motivi principali: acustica, visibilità e organizzazione. Perfetto.
Non venite a parlarmi poi di David Gilmour che suona a Pompei per 300€ (+45€ di prevendita): trappoloni per ascoltatori mediocri, appassionati limitatissimi e rockers democristiani con la grana in tasca. Gente che magari, pur avendolo comprato sottoforma di costoso vinile da 180 grammi, non si è presa neppure la briga di ascoltare il recente Rattle That Lock e che andrà lì solo per bofonchiare Wish You Were Here.
Se però l'interesse per gli anfiteatri permane, quest'estate ce ne è per tutti i gusti. Tanto per cominciare, le due date meridionali di Robert Plant e dei suoi Sensational Space Shifters: il 22 luglio all'Arena Flegrea di Napoli e, il 24, al Teatro Antico di Taormina. Oppure, se uno è allergico all'aria del Sud e più della voce ama La chitarra, c'è Joe Bonamassa all'Anfiteatro Camerini di Piazzola sul Brenta il 14 luglio, oltretutto a un buon prezzo. E sempre Le chitarre potranno essere udite in tre delle poche serate "sane" dello scaduto Umbria Jazz: Buddy Guy, in data 11 luglio, una super-band formata da John Scofield, Brad Mehldau e Mark Guiliana, il 12 luglio, e Pat Metheny e Ron Carter, il 13 luglio, tutti biglietti da 23 a 45€.
Neanche mi premuro di leggere i programmi del Pistoia Blues. Ho smesso da anni e l'unico festival blues a cui conto di fare una capatina, al massimo, è quello di Torrita, a un'ora e dieci da casa mia.
So già che giocherò in casa (anzi, sotto casa) anche il 25 giugno: i Gang (in duo acustico) suoneranno gratuitamente, all'Agrestone, il quartiere dove vivo, in occasione della consueta Festa di Liberazione estiva.
Decido di evitare- dopo due anni di onorata presenza (nel 2014, per gli Skid Row e, nel 2015, per i Dropkick Murphys) -l'umida manifestazione denominata The Jungle organizzata a Cascina (PI). Location eccellente e agilmente raggiungibile, per carità, ma fra quel che resta dei Misfits (7 agosto) e i cartapecoriti Testament (29 agosto), davvero non so cosa sia peggio.
Tant'è che mi metto l'anima in pace, inzio a seguire- su tutti i canali messi a disposizione dalle tecnologie più disparate -il Not In This Lifetime Tour dei Guns N'Roses e attendo che le due date italiane (Milano e Roma, tabloid dixit) conoscano l'ufficializzazione definitiva. Ho detto di no ai Guns sul main stage del Gods Of Metal 2012, rimpiangendo un po' il tutto, visto che alla fine venne fuori un gran bel concerto, e non ho mai creduto troppo alla filosofia delle seconde occasioni. Ma questo ritorno di Slash e Duff, questo tour e queste venture tappe italiane voglio proprio prenderle come segni del destino. E dunque aspetterò.
Poi viene fuori che il 19 luglio Lucinda Williams verrà per la prima volta in Italia. L'occasione le viene fornita dall'annuale Buscadero Day di Pusiano (CO), organizzato dalla celeberrima rivista mensile in collaborazione con la Appaloosa Records. Biglietti relativamente economici, cornice di particolare bellezza e meno di quattro ore di automobile che mi separano da questo ridente paesino brianzolo. Prontamente, comunico l'idea a Sofia, che da quasi sei anni, fra alti e bassi, sopporta i miei blues e condivide parte della sua vita con la mia. Lei che ha incontrato per la prima volta Lucinda Williams nella terza puntata di True Detective (prima stagione), io, invece, che anni prima me ne sono innamorato sentendola duettare con David Crosby Return Of The Grievous Angel di Gram Parsons nell'omonimo tribute-album datato 1998. Nel 2014 ha abbracciato l'autoproduzione e ha inciso il capolavoro della sua carriera: il doppio Down Where The Spirit Meets The Bone, disco dell'anno 2014 per me e molti altri. E' tornata alla ribalta ad inizio 2016, con il nuovo, oscuro The Ghosts Of Highway 20.
Poetessa immensa e cantante di comprovata bravura, Lucindona- così mi piace apostrofarla -si è da tempo ritagliata un suo spazio nel panorama del cantautorato americano, conquistando un seguito anche dall'altra parte dell'Oceano (si è da poco esibita anche in Belgio). Il suo stile trafigge il cuore di chi vuole ascoltare e vivere una musica superiore, senza barriere, filtri o limitazioni e vederla esibirsi, seppur accompagnata dai Buick 6 (una band diversa da quella adottata nei recenti dischi in studio), mi procurerebbe grande gioia.
Pochi giorni dopo, per direttissima, mi arrivano come gradito regalo i biglietti per Lucindona a Pusiano. Che altro dire, in questi momenti, se non <<Grazie>>?







sabato 9 aprile 2016

I Guns N'Roses a Las Vegas l'8 aprile 2016 (raccontati da un fan che non c'era ma che ha sentito, visto e letto tutto quello che c'era da sentire, vedere e leggere) [Extra]

Chi ha dato un'occhiata ai numerosi video amatoriali registrati la scorsa settimana al Trobadour di Los Angeles in occasione del secret show (o "data 0", o come vi pare) dei Guns, avrà certamente notato che, durante la danza del serpente di Mr. Brownstone, il signor Rose è scivolato. Questo non gli ha impedito di concludere il concerto più atteso degli ultimi cinquant'anni, un concerto in cui magari la sua voce non avrà brillato quanto molti si sarebbero aspettati ma che ha comunque sancito un ritorno in grande stile, costellato di leggende, aneddoti, novità e magari di alcune mancanze.
Ieri sera, complice la prima data del Not In This Lifetime Tour alla T-Mobile Arena di Las Vegas, Axl ha condiviso Internal Fixation, un video di Vimeo in cui una dottoressa molto carina e competente spiega di avergli operato, steccato e ingessato il piede sinistro nella sua clinica di Santa Monica. Con tono scherzoso, Axl ha aggiunto che "può capitare quando sono ventitrè anni che non fai una determinata cosa". 
Sono lontani i tempi in cui mr. Rose annullava un concerto per due colpi di tosse.
Sempre nella stessa serata, sul sito ufficiale della band, è comparso un video antologico, montato e girato con gusto e mestiere, su quanto accaduto al Trobadour la sera del primo aprile, ma al pubblico già importa relativamente. Sono i Guns 2.0 e si muovono, cantano e suonano (e scivolano) in un mondo molto più veloce rispetto a quello dei loro tour storici. 
Già a notte fonda (ora italiana), iniziano a fioccare siti più o meno fasulli su cui sarà possibile seguire la diretta streaming dell'evento: eclatante il caso di un hacker che è stato in tempo ad aprire il canale Street Of Streams, il cui nome fa il verso alla splendida Street Of Dreams.
Su un sitaccio di gossip escono tre scatti di Axl intento a lasciare il proprio albergo di Las Vegas. Nel migliore di questi, noto con piacere una tshirt di Neil Young & The Crazy Horse (dalla grafica, direi che può essere ricondotta allo splendido Ragged Glory World Tour del 1991) e mi premuro di cercarla, trovarla e ordinarla nel minor tempo possibile su eBay (se piace anche a voi, la più conveniente è acquistabile qua.
Ma al resto del mondo di Neil Young, dei Crazy Horse e delle magliette dei loro tour interessa poco. I fans, più che altro, iniziano ad augurarsi che Axl sia in grado di esibirsi, pur col piede rotto. Esattamente come ha fatto Dave Grohl l'anno scorso.
Già, Dave Grohl. Anni fa, Axl e Dave si stavano pesantemente sui coglioni, in maniera reciproca e democratica. Eppure Dave Grohl non solo ieri sera era in primissima fila- area VIP -col compagno e batterista dei Foo Fighter Taylor Hawkins...
... ma ha perfino prestato ad Axl Rose un oggetto di scena prezioso e, viste le sue condizioni, utile: mi sto riferendo al trono di chitarre che Dave si è fatto costruire dopo la rovinosa caduta del 2015.
Morale della favola: gli attrezzisti hanno montato al centro del palco il magnifico trono del re del rock (Elvis è morto e qualcuno doveva pur raccoglierne lo scettro), che su di esso ha cantato quasi tutti i brani. E porcaccia puttana se non faceva comunque la sua figura!
Come già accaduto al Trobadour e andando contro tutto quello che gli scommettitori più folli avevano sostenuto nel gioco del totoconcert, la setlist non si è aperta con Nightrain ma di nuovo con It's So Easy. Ora, per il sottoscritto, l'undicesimo comandamento è che un concerto dei Guns N'Roses, qualsiasi concerto dei Guns N'Roses, si apre con Nightrain. Punto.
Si prosegue: Mr. Brownstone, Chinese Democracy (Chinese Democracy suonata come fosse un pezzo del periodo Appetite non perde niente, anzi...), Welcome To The Jungle (cantata notevolmente meglio del 1° aprile) e una Double Talkin'Jive molto più coraggiosa e brillante di quella proposta al Trobadour. Double Talkin'Jive è sempre stato un pezzo un po' misterioso, tant'è che nel periodo 2002-2014 non è mai stato riproposto sul palco: su disco era un breve pezzo che non mancava di fare la sua porca figura, ma dal vivo è un cavallo di battaglia formidabile, perfetto per essere stravolto, scomposto e improvvisato ogni sera (chi ha visto il primo DVD del Live In Tokyo sa bene di cosa parlo).
Aggiunta di lusso del concerto di Vegas è la canzone numero sei: Estranged. Estranged è ancora Estranged ed è sempre una delle quattro, cinque canzoni più belle al mondo. Fra il pubblico, gira un delfino di gomma: una finezza da veri appassionati.
Su Live and Let Die il divario fra cantante e musicisti si fa gigantesco: Axl, nel cantarla, soffre, Slash, al contrario, la suona bene come non mai.
Prima di Rocket Queen arrivano i ringraziamenti ufficiali a Dave Grohl da parte di Axl. Potrebbe essere la prima volta che nevica nel deserto del Nevada.
You Could Be Mine introduce il momento punk della serata: tocca a Duff McKagan, forse il gunner che sta meglio di tutti, prendere il microfono e suonare, per la seconda volta dal palco dei GNR, New Rose dei Damned. 
Seguono due canzoni sorprendenti e molto diverse: This I Love, una delle pagine più belle di Chinese Democracy, e Coma. Coma? Sì, proprio Coma. La canzone più lunga mai incisa dal gruppo e proposta in concerto soltanto una volta, nel 1993. A modo suo, un evento nell'evento.
Il consueto teatrino delle marionette di Slash irrompe sul palco. E' una settimana che me lo chiedo: possibile che un artista come Slash, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, dopo venticinque anni continui a basare il proprio momento di one-man-show sul tema principale de Il Padrino? Sono cose come queste che mi fanno presupporre che Duff o lo stesso Axl in tutti questi anni siano molto più cresciuti, anche solo sul piano artistico, rispetto a Slash.
Difficile giudicare, almeno sulla base di un paio di video che ho visto, Sweet Child O'Mine: urla e schiamazzi di ogni genere coprono molto della performance vocale di Axl, ma lasciano intuire ciò che ho sempre pensato: l'assolo di Sweet Child dovrebbero lasciarlo suonare solo a Slash.
Better sta conoscendo una nuova vita: su disco è una canzone difficile, piena di sovrincisioni, di cambi di tempo e di effetti. In qualche modo, live finisce con l'essere spogliata e ciò che rimane è un bellissimo scheletro di puro hard&heavy. Nel 2008-2009 avrebbe potuto essere il singolo vincente di Chinese Democracy, ma fu impiegata e promossa malissimo, come tutto quel disco (o meglio, quel disco neanche fu promosso, ora che ci ripenso).
La Civil War dell'8 aprile a Las Vegas, per cortesia, dimentichiamocela.
Fantastico, piuttosto, questo Richard Fortus che arriva e intona Wish You Were Here e Slash che gli va dietro, un po' come succedeva nei concerti del 1992-1993 quando Gilby Clarke se ne saltava fuori con Wild Horses o Lucy In The Sky With Diamonds.
Subito dopo, sbuca il pianoforte a coda e Axl suona una chicca che aveva iniziato a presentare già nel periodo Appetite For Democracy: mi riferisco alla seconda parte del capolavoro Layla, il lato meno conosciuto (in quanto cassato, da sempre, dalle radio di tutto il mondo) di una delle dieci canzoni più famose della storia del rock. E non per nulla, ma far rileggere Eric Clapton a Slash invece che al buon Bumblefoot è tutt'altra cosa.
Layla serve ad introdurre November Rain, a cui seguono Knockin'On Heaven's Door e Nightrain.
Infine, gli encore: Slash riprende Patience in mano e questi ventitre anni davvero non sembrano essere passati invano.
Chiude, ovviamente, una bella Paradise City.
Punti a sfavore della reunion del secolo, per ora? Il primo che mi viene in mente è che di tutta questa ingente quantità di materiale inedito ancora non si sa nulla e che non farebbe male alla scaletta (seppure ottima ed esaustiva) conoscere qualche inedita. 
Sempre riguardo alla setlist: Chinese Democracy è un disco difficile, bisfrattato e la sua pessima fama lo precede. Tuttavia, a scanso di ogni pregiudizio, contiene musica magnifica. Una prova parziale è data dai suoi tre brani presenti al momento in scaletta, ma che fine hanno fatto i veri capolavori dell'album, Street Of Dreams, Madagascar e, soprattutto, There Was A Time?
Fa piacere vedere che in una settimana lo spirito di gruppo sia un po' più consolidato di come poteva apparire ad L.A. e che Richard Fortus già si pavoneggi al meglio di fianco a Slash, ma è pure certo che Dizzy Reed (che piaccia o meno, la persona che dopo Axl milita nei GNR da più tempo) e l'ultima arrivata, Melissa Reese (che non è una bischera sciolta messa dietro una tastiera), meriterebbero uno spazio maggiore durante lo spettacolo.
Ancora un po' nebulosa la questione merchandise. So che potrei apparire frivolo, ma anche le magliette dei GNR sono un argomento di conversazione per noi fans senza cervello e al momento è una materia di cui si sa molto poco. Queste t-shirts ci sono: ufficiali e non ufficiali, in larga parte riproposizioni o rivisitazioni di magliette storiche. Addirittura, se si osservano bene certi banchini, rispunta fuori la sigla "GNR Was Here...", risalente addirittura ai primi tour europei di fine anni '80. Ad ogni modo, attendo novità nel prossimo futuro, magari anche sul sito internet.
Punti a favore della reunion del secolo, per ora? 
Parecchi (trono e stampelle compresi).

Veloce come il vento [Recensione]

Bene. Ci siamo arrivati.
Mentre Batman V Superman, universalmente stroncato da ogni pulpito, continua a capeggiare il botteghino come ormai qualunque cosa benefici di corposi foraggiamenti economici e mediatici (a dimostrazione che anche la critica più generalizzata davvero non conta più nulla), il nostro cinema di genere conosce il suo secondo, vigoroso segnale di risveglio di questo 2016. Tutto merito di Matteo Rovere e del suo Veloce come il vento, un film incentrato (anche) sul mondo delle corse per il cui co-protagonista Loris De Martino (uno Stefano Accorsi in una delle sue tre, quattro prove migliori di sempre) si è presto spunto dal personaggio di tale Carlo Capone, astro del rally negli anni '80 e attualmente ospitato presso una clinica psichiatrica piemontese. Non casualmente ho scritto "co-protagonista", visto che la star assoluta di Veloce come il vento è l'esordiente Matilda De Angelis, cantante 20enne di grande bravura e rara passione qui per la prima volta prestata al grande schermo.
I tre fratelli De Martino sono molto diversi per età, carattere e prospettive: Loris è un ex-pilota e un consumato tossicodipendente, Giulia è una 17enne matura e responsabile che però- a causa di grossi debiti contratti dal defunto padre -rischia di perdere la casa e l'affidamento del fratellino minore Nico. Per impedire la tragedia c'è un solo modo: vincere il campionato italiano GT.
Film sportivo di dolente drammaticità, vicino più a The Fighter o all'ottimo Rush che non a Need For Speed, Veloce come il vento non necessita di computer grafica, azione squilibrata, musica tamarra, dialoghi subfumettistici e melensaggini. Le prospettive registiche e artistiche di Matteo Rovere vanno ben oltre la formula del franchise sulle "automobiline", abbracciano la storia di una famiglia non tradizionale con i suoi pregi e i suoi difetti, riflettono sui limiti della passione per la velocità senza doverne per forza esaltare- come d'obbligo nell'universo deviato e ridicolo di Fast And Furious -ogni aspetto, si impregnano degli umori di quella grande terra che è l'Emilia Romagna, coi suoi piloti, i suoi motori, le sue formule dialettali. L'epica della rinascita e della disperazione travalica la retorica tipica del cinema motoristico italiano degli anni '70 (Amore Formula 2, per citare uno degli esempi più autorevoli e meno dimenticati del genere), facendo dunque di Veloce come il vento una novità rinfrescante e assoluta, diretta e interpretata nettamente al di sopra della media nazionale e mossa da una passione equamente condivisa fra cinema e automobilismo.