martedì 13 febbraio 2018

Back in the "Ace" Day (e altre illusioni) [Extra]


Era nato il 3 ottobre di settant'anni fa, John Perry Barlow. Teologo libertario, saggista repubblicano convertitosi solo tardivamente al Democratic Party, poeta col pallino dell'informatica, scrisse grandi liriche per il gruppo di un suo ex-compagno di studi, tale Bob Weir. Sulle prime, dovette scontrarsi con un altro graduate poet al soldo dello stesso complesso, quel Robert Hunter già famoso su entrambe le coste. Al 1971 risalgono Cassidy, Mexicali Blues e la granitica Black-Throated Wind, tutte e tre confluite in Ace, primo e- opinione del sottoscritto -ineguagliato album solista di Bob Weir. Negli anni a seguire avrebbe firmato, specificatamente per i Grateful Dead, capolavori come Looks Like Rain, Let it Grow, Estimated Prophet e Throwing Stones, ma la sua predilezione per collaborare con Weir, prima, e con Brent Mydland poi non sarebbe mutata, come dimostrano i numerosi brani comparsi su Heaven Help the Fool (1978), Bobby & The Midnites (1981), Where the Beat meets the Streat (1984) e le sporadiche collaborazioni per fugaci progetti paralleli (Kingfish, Ratdog). Fu anche uno dei principali pionieri del cyberspazio: basti pensare che nel 1986 fondò un'embrionale community online prevalentemente volta ad accogliere i deadheads e denominata The Well e che solo dieci anni dopo- con internet ormai sdoganato -pensò bene di redigere la Dichiarazione di Indipendenza del Web. Lo saluto, dalle colonne del blog, con una versione oltre ogni aggettivo di un suo classico senza tempo:

Certe settimane mi sembra di vivere in uno stato di perenne cottura, più psicologica che fisica. Uscire dal letto equivale ad abbandonare di nuovo il ventre materno, ed è uno spettacolo che si ripete mattina dopo mattina. E' febbraio e, ovviamente, piove. Una pioggia insignificante, sfibrata, neutra. Sono già un paio di mattine che mi auto-ovatto con roba piuttosto pesante in macchina: ieri, i Tool di Lateralus, oggi tocca invece a quello che molto probabilmente è il mio disco preferito- fra i tanti che amo -di Nick Cave, Your Funeral... My Trial. E' un mese veloce di suo, questo, ma devo ammettere che quest'anno lo sto vivendo con maggiore affanno rispetto al passato.
Trovo il tempo di passare al negozio di dischi. Cerco una rarità, o almeno un qualcosa che mi è stata spacciata per tale: Spirit of '76 degli Spirit (band ingiustamente famosa solo perchè al centro del processo per plagio intentato ai Led Zeppelin riguardo la paternità degli accordi su cui si poggia Stairway to Heaven). In effetti, questo doppio vinile uscito nel maggio 1975 tramite Mercury Records, non è molto facile da trovare e l'unica versione ristampata su due cd risale al 2003. Di questa fortuita operazione va ringraziata l'inglesissima BGO, un'etichetta nota agli appassionati per l'ottima qualità del mastering, per il catalogo non tanto vasto quanto ampiamente ricercato e per il curioso packaging lievemente over-size dei suoi prodotti. Minuzie che non passano inosservate a chi è attento al centimetro (in più o in meno), alla scala cromatica fedele all'artwork originale, alle costoline pregiate. BGO di certo non regala i suoi prodotti, non lo ha mai fatto: perciò, non crediate di reperire questi cd nel cestone dell'offerte in Autogrill o negli angoli dei negozi dedicati a saldi e promozioni, perchè sprechereste il vostro tempo. Spirit of '76, come mi spiega da subito il buon Beppe, è fuori catalogo da anni (c'era da aspettarselo, visto che l'unica tiratura esistente è proprio quella del 2003) e in Europa risulta molto difficile da trovare (almeno nella distribuzione ufficiale). Mi chiede un minuto e sparisce sul retro, da cui ritorna poco dopo dicendomi che glielo manderebbe nel giro di un paio di settimane un fornitore di fiducia americano. So bene di che si parla, non chiedo neanche la cifra e do il mio assenso. <<Vai, ordinamelo!>>. Forse hanno ragione quelli che ti dicono <<Non si può sempre guardare indietro>> (anzi, niente forse, hanno ragione e punto), eppure, guardando avanti, quel che vedo non mi sembra comunque granchè.
Mia sorella lo ha regalato a Sofi lo scorso natale, lei lo ha letto, poi è finito in mano mia. Sto parlando di Guns N'Roses: gli ultimi giganti del Rock di Mick Wall. Edito da Tsunami in un formato medio-grande e con una gran bella copertina rigida, il libro è composto da 448 pagine, due parti, diciassette capitoli e una discreta sezione fotografica centrale. Non era la prima volta che mi imbattevo nella prosa di Mick Wall, un famoso giornalista musicale britannico, che ha già dato prova di quale valido intellettuale possa essere- almeno nel campo delle biografie a tema -e quanti aneddoti e informazioni egli sia in grado di far fluire nero su bianco. E poi erano quasi cinque anni che non leggevo qualche nuovo libro che riguardasse i GNR. Le ultime cose si concludevano tutte intorno al 2012-2013: i Guns inclusi nella R&R Hall of Fame, Axl a giro con l'amata-odiata formazione "MKIII", le ospitate di Duff e Izzy (per alcuni già ipoteticamente interpretabili come segnali dal futuro), Slash che porta avanti una (pare) fulgida e remunerativa carriera solista, alcune rappacificazioni, centinaia di porte aperte, un nuovo live da far uscire in multiformato, ancora problemi di royalties, scazzi assortiti. Da allora ne sono successe diverse: la line-up è cambiata un'altra volta, la voce di un seguito di Chinese Democracy annunciato per il 2016 da diversi ex-componenti si è (prevedibilmente?) fermata a livello di pettegolezzo, Slash e Duff sono tornati nel gruppo, il Not in This Lifetime Tour ha preso vita e- a fine 2017 -è risultato la turnè musicale più remunerativa degli ultimi anni (superando, di fatto, quelle contemporanee di U2  e Coldplay) e Axl Rose- complice una mossa che continua a fare discutere critica e pubblico -si è confermato la più grande rockstar vivente. D'altronde, chi mai ha potuto vantarsi di essere il frontman dei Guns N'Roses e, allo stesso tempo, il cantante degli AC/DC? Wall si prende i suoi tempi per quello che- si capisce dal principio -è un libro che doveva covare dai tempi del suo primo incontro con la band, che ebbe luogo a Manchester il 6 ottobre 1987. In effetti, come capita praticamente sempre nelle agiografie musicali, il passato prossimo (per quanto denso di avvenimenti possa essere quello di questo gruppo) viene sbrigativamente affrontato nell'ultimo capitolo, che in questo caso dura da pagina 414 a pagina 440. Per chi già conosce e ama la storia dei Guns, la loro musica, il loro tempo, i personaggi coinvolti, i luoghi, i colori, i suoni, qua dentro ci sarà poco di strettamente inedito. Anzi, alcuni anni, alcuni passaggi, sono stati molto più approfonditi e narrati da quello che- e ora che ho letto questa ultima corposa e attesa biografia ne sono più convinto che mai -per me resta il miglior biografo del gruppo, Ken Paisli, sia in Guns N'Roses- The Truth che in Axl (entrambi editi da Chinaski). A chi, invece, pensa di conoscere già tutto quello che c'è da sapere, è convinto che Slash sia il più grande chitarrista del mondo e Axl un "poraccio" che ha sfruttato il nome "Guns N'Roses" per creare un brand con cui promuovere brutta musica a giro per il mondo in compagnia di completi sconosciuti, beh, questo libro lo consiglio caldamente: potrebbe arricchire le scarse conoscenze artistiche e musicali e insegnare qualcosa di diverso da quello che propongono il 90% dei forum, delle pagine Facebook, dei fansite. Lo stile di Wall è, come al solito, elegante ma certi contenuti risultano meno dettagliati rispetto ad altre sue cose lette in anni precedenti (insomma, sia Iron Maiden: le origini del mito che L'inferno non è poi così male, incentrato invece sugli AC/DC, sono più "storici" e meno coinvolgenti, ma migliori). Fa piacere notare come le uniche testimonianze davvero nuove e mai avide di particolari (anche scabrosi) siano quelle di Alan Niven (quasi una seconda voce di tutto il volume) e di Doug Goldstein, e che il contesto sociale e musicale losangelino degli anni Ottanta sia davvero molto approfondito. Poi ci sono intere parti trascurate, sciatte, abbandonate a se stesse: la pubblicazione di "The Spaghetti Incident?" (a proposito, Carlos Booy non è tanto un "chitarrista", quanto l'allora giardiniere di Axl), la figura di Dizzy Reed (al netto di tutto e fatta eccezione per Axl, la persona ad aver militato nei GNR più a lungo di tutte le altre, ma Wall preferisce liquidarlo come "poco più di un session man"), le fugaci peripezie e le traversie vissute dal signor Rose nei suoi "anni perduti", le carriere soliste e i progetti paralleli degli altri componenti (leggere cose come "Believe in Me non lo comprò quasi nessuno" è roba da terza elementare). Si arriva così ad un nodo fondamentale: Mick Wall ha una posizione condivisibile o no su questo gruppo? A mio modo di vedere la faccenda, non molto. Mi spiego meglio: per una buona fetta del libro, il lettore/fan percepisce un malcontento da parte dell'autore. Infatti, in ogni pagina che affronta il periodo 1994-2016 (ventidue anni durante i quali un'arte e un'intera industria hanno conosciuto trasformazioni e metamorfosi di ogni genere) Wall scrive una cosa e una soltanto: <<Gli unici Guns N'Roses possibili sono quelli con Axl alla voce, Slash alla chitarra e Duff McKagan al basso, ed è un vero peccato che la formazione attuale non veda anche Steven Adler alla batteria e Izzy alla ritmica>>. Gli Slash's Snakepit, i Neurotic Outsiders, i 10 Minute Warning, gli stessi Velvet Revolver sono sì menzionati, sì analizzati (talvolta maldestramente e in maniera viziata), ma solo per giungere sempre alla medesima conclusione: non sono i GNR, <<E grazie al c***o!>>, aggiungo io. L'autore- incredibilmente! -salva giusto Chinese Democracy, estrae interi frammenti dall'autobiografia pubblicata nel 2007 da Slash e parecchio materiale da It's so Easy di Duff McKagan (uno dei migliori libri sul rock che abbia mai letto), cita una bibliografia corposa ma se ne guarda bene da tirare in ballo le opere di Paisli, del quale ricalca non tanto lo stile del giornalismo bonzo, quanto la sequenza degli eventi (soprattutto di quelli connessi ad Axl) e interi aneddoti. Un libro che non si scaglia contro Axl Rose basandosi sui due, tre consueti luoghi comuni è già meritevole di acquisto, il lavoro di editing molto buono e la narrazione appassionante, ma davvero: nulla di nuovo sotto il sole.

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